martedì 18 marzo 2008

Lavori usuranti. I nodi vengono al pettine


di Antonio Maglietta - 18 marzo 2008

Si lavora per portare nel Consiglio dei ministri di mercoledì il decreto attuativo sui lavori usuranti, della legge-delega che recepisce il protocollo sul welfare, per la parte pensionistica, che scade a marzo. Nell'imbarazzato silenzio del Partito Democratico, che non vuole urtare troppo i vertici di Confindustria, e nella bellicosità della Sinistra Arcobaleno che, al contrario, cerca lo scontro con i maggiorenti di viale dell'Astronomia dopo i tanti rospi ingoiati per rispettare il vincolo di fedeltà al governo Prodi, si racchiude tutto il dato politico dell'intera faccenda.

Per capire meglio i termini della questione, occorre fare qualche passo indietro. Attualmente la lista dei lavori usuranti è contenuta nel decreto del ministro del Lavoro del 19 maggio 1999 (cosiddetto «decreto Salvi»). Ora coloro che, con il decreto legislativo che potrebbe essere emanato nei prossimi giorni, saranno riconosciuti nel dettaglio come lavoratori che svolgono una attività particolarmente usurante, al momento del pensionamento di anzianità potranno conseguire su domanda, entro certi limiti, il diritto alla pensione con requisito anagrafico ridotto di tre anni rispetto a quello previsto (con il requisito minimo di 57 anni) purché abbiano svolto tale attività a regime per almeno la metà del periodo di lavoro complessivo o (nel periodo transitorio) per almeno 7 anni negli ultimi 10 di attività lavorativa. Per tali tipologie lavorative sono state individuate risorse massime disponibili su base annua, ed una cifra complessiva nel decennio 2008-2017 pari a 10 miliardi di euro (vedi anche circolare Inps del 17 gennaio 2008).

Nello stesso protocollo sul welfare del 23 luglio scorso la platea dei destinatari è stata così individuata:

* lavoratori impegnati nelle attività previste dal decreto del ministro del Lavoro del 1999;
* lavoratori considerati notturni secondo i criteri definiti dal decreto legislativo n. 66 del 2003;
* lavoratori addetti a linea catena individuati sulla base di questi tre criteri:

1. lavoratori dell'industria addetti a produzioni di serie;
2. lavoratori vincolati all'osservanza di un determinato ritmo produttivo collegato a lavorazioni o a misurazioni di tempi di produzione con mansioni organizzate in sequenza di postazioni;
3. lavoratori che ripetono costantemente lo stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale, che si spostano a flusso continuo o a scatti con cadenze brevi determinate dall'organizzazione del lavoro o della tecnologia. Sono esclusi gli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, alla manutenzione, al rifornimento materiali e al controllo di qualità;

* conducenti di mezzi pubblici pesanti.

Nei prossimi giorni il governo dovrà decidere se lo schema messo a punto dal ministero del Lavoro rappresenti un compromesso accettabile tra le richieste di Confindustria, il cui ex leader dei giovani oggi è uno dei candidati «foglia di fico» del Partito Democratico, e quelle della Sinistra Arcobaleno. Tecnicamente il dato che più sta suscitando problemi è quello legato al criterio per qualificare un lavoro come notturno. Il problema non è di poco conto, visto che la copertura è limitata a solo 5 mila lavoratori. In estrema sintesi, allargare la platea dei potenziali beneficiari significherebbe allargare anche i cordoni della borsa. La delega prevedeva almeno 80 giorni l'anno di lavoro notturno affinché un lavoratore potesse usufruire della pensione anticipata concessa a chi svolge attività usuranti. Andare sotto quella soglia vorrebbe dire aumentare la spesa pubblica e, con una crisi economica dai risvolti ancora imprecisati che ci sta bussando alla porta di casa, non sembra proprio una scelta nell'interesse del paese.

Antonio Maglietta

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