venerdì 21 marzo 2008

Questione sicurezza. Gli errori del governo Prodi



di Antonio Maglietta - 21 marzo 2008

«Sono stati due anni di lavoro intenso e difficile, ma con risultati che considero molto positivi». Lo scrive Giuliano Amato in un articolo, che comparirà sul primo numero della nuova serie di Amministrazione civile (la rivista del ministero dell'Interno), che il Corriere della Sera ha anticipato nell'edizione di mercoledì 19 marzo, richiamandolo in prima pagina. Il ministro, rivendicando i successi dell'azione del Viminale (dall'inedita cattura di un intero nucleo di stampo brigatista all'arresto di numeri uno della mafia palermitana e della 'ndrangheta, Salvatore Lo Piccolo e Pasquale Condello, alla decapitazione delle maggiori famiglie criminali siciliane) nota, tuttavia, che «abbiamo anche assistito all'accentuarsi, soprattutto in alcune parti del paese, di un diffuso senso di insicurezza». Una «contraddizione» alimentata - denuncia Amato - dall'opposizione «che ha deciso di avviare la sua campagna contro il governo cavalcando il sentimento di insicurezza», ma anche da una parte del centrosinistra che «non ha saputo accettare la responsabilità delle politiche per la sicurezza nel loro complesso, conservandone una visione limitata esclusivamente agli interventi sociali mirati a eliminare le cause del crimine. La maggioranza ha dato così la sensazione che sulla sicurezza più che essere sicura balbettasse».

Il ministro non nasconde l'aggravarsi di fenomeni di criminalità diffusa che hanno inciso sul comune sentire e che «solo una catalogazione vecchia e sbagliata porta a definire come minore» (dalla violenza negli stadi al crimine straniero, al problema degli incidenti causati da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di stupefacenti), ma ricorda anche le polemiche sorte dopo la firma dei Patti per la sicurezza con i sindaci. «Ancora una volta - denuncia - la politica ha avuto modo di dimostrare quanto possa semplificare e deformare la realtà, un po' per ignoranza vera e propria e un po' per strumentalizzazione di parte. E' quanto è accaduto, in particolare, quando abbiamo citato la dottrina per cui il disordine chiama un disordine sempre maggiore, il piccolo delitto fa da trampolino di lancio per il grande delitto. Ebbene, il solo fatto che sulla base di questa teoria alcuni sindaci americani abbiano poi attuato una politica di "tolleranza zero" ha indotto taluni ad accusare me, e soprattutto i primi cittadini che con me avevano firmato i Patti, di esserci trasformati in sceriffi, attribuendo al termine un valore profondamente negativo». E aggiunge: «Le politiche per la sicurezza hanno bisogno di una condivisione razionale. In questa legislatura la conflittualità tra maggioranza e opposizione, e all'interno della stessa maggioranza, non lo ha consentito. C'è da sperare che nella prossima si scelga una strada diversa».

Insomma, sembra che Giuliano Amato accenni ad un mezzo mea culpa. Francamente, ci aspettavamo qualcosa di più. Infatti l'attuale ministro dell'Interno avrebbe dovuto dire che le incertezze e gli errori del governo Prodi, sul tema della sicurezza, sono tutti attribuibili a beghe di cortile interne al centrosinistra. Non si può gettare la croce addosso al centrodestra se il decreto sicurezza, adottato dopo la tragica morte della signora Reggiani a Roma, è stato fatto decadere perché, all'interno di un pacchetto di disposizioni in materia di espulsioni dei cittadini comunitari, anche discutibili dal punto di vista tecnico, è stato inserito un controverso passaggio sulla discriminazione sessuale su richiesta della sinistra radicale, che nulla aveva a che fare con il provvedimento in questione e peraltro era anche errato nei riferimenti normativi. Infatti, nel decreto sulla sicurezza c'era il richiamo a un articolo sbagliato del Trattato di Amsterdam. Quello giusto, in cui si parla di discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale, non era l'articolo 13, effettivamente citato nel decreto, ma l'articolo 2, comma 7 («Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali»). Peraltro il Trattato non ha il valore delle delibere europee, cioè non costituisce indirizzo normativo per gli Stati membri. Il governo se n'è reso conto solo in corso d'opera, facendo orecchie da mercante anche dinanzi alle sollecitazioni in Senato di Marcello Pera, che subito evidenziò l'errore.

E vogliamo parlare delle polemiche, sempre interne al centrosinistra, sui cosiddetti sindaci «sceriffi»? Non furono proprio alcuni degli esponenti del governo Prodi a sollevare pesanti critiche nei confronti di quei sindaci, anche dello stesso centrosinistra (vedi Bologna e Firenze) che adottavano ordinanze per tentare di arginare in qualche modo l'ondata di criminalità diffusa che si era abbattuta nel giro di poco tempo nel nostro paese? E non fu un esponente dello stesso governo, il ministro Ferrero, ad attaccare l'esecutivo sull'impianto del piano sicurezza (sulla microcriminalità l'impostazione è sbagliata «su due piani: da un lato si inverte la causa e l'effetto, questi fenomeni vanno affrontati con la logica dell'integrazione, in secondo luogo si sceglie una gerarchia insolita, si parte dai graffittari, che sarebbero più pericolosi degli speculatori»?

Insomma, capiamo che il finto nuovo corso di Veltroni, che sa tanto di vecchio, ha la necessità di annacquare e far dimenticare il tragicomico biennio prodiano, ma addirittura tentare di sorvolare con non chalanche sull'incapacità manifesta del centrosinistra in tema di sicurezza ci sembra un po' troppo. Ma la migliore risposta da dare a chi ha la memoria corta nel centrosinistra (Amato) e a chi promette mari e monti (Veltroni), è quella di portare alla loro attenzione la dichiarazione del ministro degli Esteri rumeno, Adrian Cioroianu, che martedì scorso, nel corso di un incontro con i giornalisti italiani, ha seraficamente affermato: «Credo che lo Stato italiano abbia interpretato in modo sbagliato la permissività. Quelle baracche a Roma (riferendosi alle baraccopoli dei rom, nda) non le vedete in Romania». Capito il messaggio?

Antonio Maglietta

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