giovedì 9 ottobre 2008

Lavoro. Dal Pd accuse grottesche al governo



di Antonio Maglietta – 9 ottobre 2008
maglietta@ragionpolitica.it

Secondo l’ex ministro del lavoro del governo Prodi, Cesare Damiano, il governo starebbe mettendo in atto ''una vera e propria controriforma'' contro il mondo del lavoro. Damiano e Giuseppe Berretta, in una conferenza stampa svoltasi martedì a Montecitorio, hanno puntato il dito in particolare contro il ddl sul lavoro del governo collegato alla Finanziaria (A.C. 1441 – quater – A) che modifica il processo del lavoro, e che, secondo i due esponenti del Pd, andrebbe a danno dei lavoratori ''che dovranno affrontare una procedura molto più complessa e farraginosa'' per far valere i propri diritti. ''E' poi in atto, sempre da parte del governo - prosegue Berretta - il tentativo di limitare i poteri del giudice. Si toglie anche il tentativo di conciliazione obbligatorio e si favorirà il ricorso all'arbitrato che è una giustizia privata a pagamento''. Bene hanno fatto Stefano Saglia e Giuliano Cazzola, rispettivamente presidente e vicepresidente della commissione lavoro della Camera (Cazzola è anche il relatore del provvedimento), a ribattere alle accuse grottesche degli esponenti del Partito Democratico: ''i provvedimenti del governo non hanno ridotto le tutele per i lavoratori, ma prevedono misure di semplificazione e di deregolazione del rapporto di lavoro, liberando le imprese e i lavoratori da vincoli ed adempimenti burocratici e formali predisposti dal precedente governo, in conseguenza di un pregiudizio nei confronti del sistema produttivo''.
Tralasciando la falsità secondo cui si toglie anche il tentativo obbligatorio di conciliazione, visto che all’art. 66, comma 1, del testo uscito dalla commissione lavoro è scritto testualmente: “Ferma restando l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione” (A.C. 1441-quater-A; pag. 32), è paradossale che gli esponenti del Pd attacchino a testa bassa l’arbitrato, un istituto giuridico che offre oggettivi vantaggi in termini di speditezza (con regole chiare e semplici) nella risoluzione delle controversie e che permette di evitare il ricorso al giudice del lavoro, con conseguente risparmio di tempo e soldi. In pratica il Governo, con il ddl sul lavoro collegato alla Finanziaria, è intervenuto per allargare le maglie della conciliazione e dell’arbitrato, riformare alcuni poteri dei giudici nel processo del lavoro, con l’obiettivo di ridurre il contenzioso giudiziale e dare così piena e veloce soddisfazione alle parti, soprattutto ai lavoratori che spesso vedevano deluse le loro aspettative a causa delle lungaggini processuali (senza contare il denaro speso). Si parla spesso, poi, del gravoso problema dell’appesantimento della macchina giudiziaria civile ed ora che il governo ha cercato di dare ai lavoratori degli strumenti (facoltativi) alternativi al ricorso al tribunale, per risolvere le loro controversie lavorative, il Pd grida allo scandalo? E di quale giustizia a pagamento parla Berretta, facendo intendere che il ricorso alla conciliazione e all’arbitrato sarebbe roba da ricchi? Vediamo per grandi linee di cosa si tratta e come funziona. Le commissione di conciliazione è istituita presso la direzione provinciale del lavoro. E’ composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, deve essere consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’articolo 474 del codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell’articolo 825.
Per Berretta e Damiano è meglio ricorrere al giudice del lavoro, e perdersi in lungaggini processuali e soldi spesi per gli avvocati, oppure tentare la via della conciliazione e dell’arbitrato ed avere tempi certi per la risoluzione della controversia al costo di una raccomandata con ricevuta di ritorno?

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