mercoledì 26 novembre 2008

L'International Migration Outlook 2008



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 24 novembre 2008

È stato presentato lunedì mattina presso la sede del Cnel, a Roma, il rapporto Ocse-Sopemi International migration outlook. Esso rileva come si sia ormai consolidata la presenza in Italia degli immigrati: 3.432.651 persone e 1.684.906 famiglie con almeno un componente straniero, pari al 6,9% del totale. Dal rapporto emerge in primo luogo la crescente stabilizzazione che caratterizza la presenza immigrata: di pari passo con l'aumento della popolazione residente (+246,1% negli ultimi 10 anni) e regolarmente soggiornante (+144,9%), nell'arco di due lustri sono triplicati i matrimoni con almeno un coniuge straniero, che sono 34.396, pari al 14% del totale, ed è cresciuto il numero delle nascite di figli da genitori stranieri, che nell'ultimo anno sono state oltre 64.000, l'11,4% del totale. Gli alunni stranieri iscritti nell'anno scolastico 2007/08 erano 574.133, il 6,4% degli studenti. È cresciuto del 136% dal 2001 ad oggi il numero dei lavoratori stranieri, che al 2007 sono 1.502.419. Spia di un processo lento ma virtuoso di integrazione economica è anche la crescita delle imprese costituite da immigrati, che nel 2008 sono oltre 165 mila.

Dal rapporto emergono anche elementi di criticità, come ad esempio la tendenza sempre più evidente ad accostare l'immigrazione alla sicurezza, sino al diffondersi nella società di un razzismo «silente». Indicativo, a questo proposito, secondo il rapporto, è che il 30% di chi vive nei Comuni con oltre 10 mila abitanti consideri l'immigrazione un problema di ordine pubblico, mentre il 10,8% arriva a considerarla una minaccia.

Ma perché questi dati? Gli italiani sono diventati razzisti? Certamente no. Gli ingressi degli immigrati sono legati oggi solo ai posti di lavoro disponibili, mentre non vengono presi realmente in considerazione altri aspetti fondamentali come l'impatto sul welfare State (assistenza all'anzianità, disoccupazione, assistenza sanitaria, istruzione), quello sulle politiche abitative e l'andamento dell'economia nostrana nel medio-lungo periodo. In Italia, come nel resto del mondo occidentale, la leva dell'immigrazione viene spesso usata dal sistema produttivo solo per rispondere in maniera impropria alle sfide del mercato globale e cioè attraverso i bassi salari pagati ai lavoratori stranieri con basse qualifiche professionali. L'International Migration Outlook 2008 segnala che, in materia di immigrazione, l'Italia «resta in gran parte orientata verso la bassa qualifica professionale», ma anche che in tutto il mondo gli stranieri vengono sottopagati rispetto ai lavoratori-cittadini.

Questa visione limitata determina una situazione nella quale il lavoratore immigrato (regolare o meno) viene considerato solo come manodopera e non come una persona che, alla pari del cittadino, vive nella società e che, quindi, ha bisogno di un appartamento, di servizi, di mangiare, in molti casi di mandare i soldi alla sua famiglia nel paese di origine, ecc... I benefici economici di tale deprecabile operazione vanno esclusivamente ai pochi che sfruttano questa situazione nel sistema produttivo, mentre i costi economici e sociali si riversano tutti sulle spalle dello Stato e, quindi, di tutti i cittadini. Se a questo aggiungiamo che la convivenza è qualcosa di per sé difficile e che, anche se l'immigrato non lavora, deve pur vivere, allora riusciremo a dare una qualche risposta razionale ai dati del Rapporto Ocse-Sopemi.

Quanto al legame tra immigrazione e criminalità, nel Rapporto sulla criminalità in Italia, presentato il 20 giugno dello scorso anno dal ministro dell'Interno dell'ultimo governo di centrosinistra, Giuliano Amato, si legge chiaramente che «negli ultimi vent'anni è cresciuto sensibilmente il contributo fornito dagli stranieri di determinate nazionalità alla diffusione di alcuni reati, in particolare quelli contro la proprietà (i furti e le rapine), i reati violenti, i reati connessi ai mercati illeciti della droga e della prostituzione. Tale contributo appare sproporzionato per eccesso rispetto alla quota di stranieri residenti nel nostro paese, anche se si tiene conto della presenza di stranieri non documentata». E ancora: «È importante sottolineare che la netta maggioranza di questi reati viene commessa da stranieri irregolari, mentre quelli regolari hanno una delittuosità non molto dissimile dalla popolazione italiana... Nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia». E' chiaro, quindi, che il problema del rapporto tra immigrazione e criminalità si riconduce in gran parte al contrasto del fenomeno dell'immigrazione clandestina (stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso) e, soprattutto, di quella irregolare (stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale, di cui erano però in possesso all'ingresso in Italia).

I timori degli italiani, come quelli dei cittadini di tutti i paesi occidentali, non sono quindi frutto di un becero razzismo (neanche «silente», come viene scritto nel Rapporto Ocse-Sopemi), ma rappresentano una risposta spontanea della società all'approccio sbagliato delle istituzioni mondiali rispetto al fenomeno dell'immigrazione. E questo dato trova conforto nella crescente stabilizzazione, nel nostro paese, della componente straniera, che certo non metterebbe radici in un paese tendenzialmente ostile alla sua presenza. Liquidare tutto come razzismo sarebbe troppo semplice, anche perché guardando a quello che succede in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Francia, dall'Australia alla Spagna, dalla Francia all'Inghilterra, dovremmo arrivare all'assurda conclusione che i cittadini di tutti questi paesi ed i loro governi sono razzisti.

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