mercoledì 1 giugno 2011

La Cassazione convalida il referendum sul nucleare



La Corte di Cassazione ha stabilito che il 12 e 13 giugno si terrà il referendum sul nucleare. E' stata così accolta l'istanza presentata dal Pd che chiedeva di trasferire il quesito sulle nuove norme appena votate nel decreto omnibus da poco convertito in legge: quindi la richiesta di abrogazione rimane la stessa, ma invece di applicarsi alla precedente legge si applicherà appunto alle nuove norme sulla produzione di energia nucleare (art. 5 commi 1 e 8).

«La corte si è riunita oggi e ha deciso che sarà tenuto il referendum con il trasferimento del quesito sui commi 1 e 8 dell'articolo 5 della nuova legge». Così il consigliere della Corte di cassazione, Raffaele Botta, ha comunicato ai giornalisti presenti di fronte all'ingresso del tribunale di piazza Cavour la decisione presa durante l'udienza. Botta ha poi spiegato che «il quesito dovrà essere riformulato». Secondo il consigliere «la corte ha ritenuto evidentemente che questi commi potrebbero consentire che comunque si proceda al programma di localizzazione e attuazione del programma. Ha quindi trasferito alla nuova legge il quesito. La decisione è presa a maggioranza».

E’ davvero singolare che la Corte abbia deciso che, in pratica, si possano raccogliere le firme necessarie per richiedere un referendum per l’abrogazione di una parte di una legge e che poi è possibile modificare il quesito e chiamare a votare i cittadini per l’abrogazione di parte di un’altra legge che dice cose diverse. Il quesito referendario, infatti, era stato presentato per dire no alla realizzazione sul territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare. La norma che si voleva abrogare faceva parte del decreto-legge recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», firmato il 25 giugno 2008 e convertito in legge con modificazioni il 6 agosto dello stesso anno: «Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare?».

Ora, grazie ad un’istanza del Pd, accolta dalla Cassazione, la richiesta di abrogazione, che per questa novità dell’ultima ora dovrà prevedere per forza di cose un cambiamento del quesito, si rivolge ad una parte del cosiddetto decreto omnibus convertito nella Legge 26 maggio 2011, n. 75 e, nello specifico, ai commi 1 («Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare») e 8 («Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l'incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell'Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali») dell’art. 5 che dicono cose ben diverse. Il comma 1 dispone che non si debba procedere all’attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, andando incontro alle richieste di chi aveva promosso il referendum. Il comma 5, invece, determina l’adozione entro un anno di una strategia energetica nazionale, cosa di cui questo paese ha assolutamente bisogno, senza che venga assolutamente nominato il nucleare.

La scelta del Governo e della maggioranza che lo sostiene, con l’approvazione del decreto omnibus poi convertito in legge, era stata molto chiara: favorevole all'energia nucleare, ma con una pausa di riflessione sul tema della sicurezza, insieme con l'Unione europea. Il tutto per evitare che per la seconda volta (dopo il referendum del 1987 svolto a ridosso del disastro di Chernobyl dell’anno prima) sia l’emotività, provocata questa volta dai fatti in Giappone, a farci prendere una decisione su una scelta così importante per il Paese. L’art. 39 della Legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), peraltro, dispone che «se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso». Quasi certamente la Cassazione ha fatto riferimento alla sent. n. 68/78 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo articolo rispetto all'art. 75, comma 1, della Costituzione «limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative». Ma qui la situazione è ben diversa.

Nella prima norma che si voleva abrogare, c’era un esplicito riferimento al ritorno al nucleare, nella seconda, invece, un blocco espresso delle procedure per rendere attuabile tale piano e la predisposizione di un piano energetico che non menzionava assolutamente l’atomo. Insomma erano stati modificati i principi ispiratori della disciplina precedente e i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, tanto è vero che l’art. 5 della Legge 26 maggio 2011, n. 75 reca il titolo «Abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari» e che il comma 2 del predetto dispone espressamente e senza alcun dubbio che «l'articolo 7 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è abrogato».

Ora la Cassazione, forzando con tutta evidenza la mano, ha deciso che il corpo elettorale dovrà pronunciarsi per l’abrogazione delle norme che prevedono già il blocco dell’attuazione del programma per il ritorno al nucleare e l’adozione di una strategia energetica nazionale perché, a loro avviso, queste disposizioni non dicono in realtà quello che c’è scritto nero su bianco. Si tratta di una decisione che sottopone al voto dei cittadini l’abrogazione di una sorta di ‘norma fantasma’ che ancora non c’è. Quasi un voler colpire l’intenzione ancor prima dell’attuazione. Un paradosso che, con tutto il rispetto, pone tante domande sul ruolo della Cassazione.

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