martedì 24 maggio 2011

Un breve quadro generale sugli ultimi dati occupazionali



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 24 maggio 2011


Secondo il Rapporto annuale dell'Istat sulla situazione del Paese nel 2010, l'Italia appare sempre «più vulnerabile» rispetto al passato. Le cause principali vanno ricercate in «una crescita del tutto insoddisfacente», nonostante «il rigore nella gestione del bilancio pubblico», e in un mercato del lavoro dove aumenta la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, e in cui vengono penalizzate anche le donne «con prospettive sempre più incerte di rientro». Ci stupiamo che qualcuno si sorprenda dinanzi a questi numeri e, soprattutto, bisognerebbe stigmatizzare le dichiarazioni di quanti vorrebbero attribuire i mali del mondo, compreso questo, al governo Berlusconi.

In ogni parte del globo, dati alla mano, le persone più deboli nel mercato del lavoro sono i giovani, le donne e gli stranieri. In Italia, storicamente, le cose vanno anche peggio e la riprova è nei dati, che da sempre registrano un'alta percentuale di disoccupazione giovanile e un basso tasso di occupazione delle donne.

Va detto, innanzitutto, che attualmente, secondo i dati dell'Eurostat, abbiamo uno dei tassi di disoccupazione tra i più bassi in Europa e ampiamente sotto la media rispetto agli altri paesi del Vecchio Continente. Questo è un dato statistico che certamente non fornisce alcun sollievo a chi è senza lavoro, cui va tutto il rispetto e la massima solidarietà possibile, ma che è importante per una corretta analisi del mercato. Se andiamo a guardare gli ultimi dati Istat sull'occupazione, relativi al mese di marzo, leggiamo che «l'occupazione maschile è in aumento rispetto a febbraio dello 0,3% (+39 mila unità), ma in diminuzione dello 0,8% su base annua; quella femminile è in aumento dello 0,8% (+72 mila unità) sul mese precedente e del 2,8% nei dodici mesi». In pratica, in controtendenza rispetto al dato storico, il tasso di occupazione delle donne è aumentato dal punto di vista congiunturale e tendenziale, e questo dato positivo è ancora più rilevante se pensiamo che tale balzo sia avvenuto in un periodo di crisi economica su scala mondiale. E ancora, sempre nella stessa rilevazione, si evidenzia che a marzo gli inattivi tra i 15 e i 64 anni sono diminuiti dello 0,8% (-114 mila unità) rispetto al mese precedente, portando il tasso di inattività al 37,7%. Sempre alto ma in calo.

Per quanto riguarda invece i dati sui giovani, è davvero curioso scoprire come tanti s'indignano e, al contempo, davvero in pochi analizzano alcune delle motivazioni che hanno portato nel tempo a queste performance negative. Perché i giovani subiscono più di altri la scure della crisi? Vogliamo parlare del vetusto e iniquo welfare state italiano, troppo sbilanciato sulle pensioni e troppo poco sulle prestazioni a sostegno del reddito? Oggi pochissimi giovani sono inseriti nel mercato con un contratto a tempo indeterminato e questo determina una certa discontinuità nella carriera contributiva e nella percezione di un reddito da lavoro. Ecco perché, a differenza dei padri, hanno più bisogno delle prestazioni a sostegno del reddito e meno della pensione. Quest'ultima si costruisce con i contributi versati in età lavorativa. Se un ragazzo non lavora come fa a versare i contributi e, soprattutto, come fa a vivere senza un'adeguata protezione sociale? Tutti sanno che il welfare state italiano si poggia sulla famiglia. Più di un italiano su quattro fa parte di una rete informale, cioè come amico, parente, collega, vicino di casa si mette a disposizione di altre persone bisognose di aiuto. Per un totale di 3 miliardi di ore all'anno. È questo il vero welfare italiano, quello fotografato con precisione dall'Istat nel suo ultimo Rapporto annuale sulla situazione del paese. È il volto di un'Italia solidale e che trova nelle reti familiari e amicali una vera e propria ancora di salvezza. Si tratta di oltre 14 milioni di persone, chiamate «caregiver».
Il governo Berlusconi ha aperto una piccolo varco in questo muro di iniquità con l'introduzione della cassa integrazione in deroga. Quanto prima, però, bisognerà continuare ad allargare questa breccia fino far cadere il muro e costruire finalmente un welfare state più vicino alle esigenze di tutti, soprattutto dei giovani.

FONTE

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