mercoledì 11 maggio 2011

L'antimafia dei fatti


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 11 maggio 2011

Con il governo Berlusconi sono stati sequestrati 15 miliardi di euro di beni mobili e immobili e contanti alle organizzazioni criminali. E' il bilancio presentato mercoledì a Napoli dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per il quale questi soldi «sono passati dal campo dell'illegalità, dalle mani sporche dei criminali a quelle dello Stato». Il Piano Sud, ha ricordato Alfano, sarà fatto di «reti viarie, ferroviarie, stradali, porti ma la prima infrastruttura si chiama legalità. Se un imprenditore deve venire al Sud e poi essere costretto a pagare il pizzo non ci viene più». Quando, ha aggiunto Alfano, «mi si chiede dell'impegno del governo sulla legalità rispondo che e' tutto scritto nella Gazzetta ufficiale, è già legge dello Stato e 29 dei primi 30 latitanti sono in galera. Costruiamo questo pilastro e arriveranno sicuramente lavoro e investimenti».

Questi sono fatti che colpiscono al cuore il potere criminale. Lo Stato, nelle sue varie articolazioni e poteri, fa a pieno il suo dovere quando toglie ai criminali i soldi e la libertà personale per un tempo congruo rispetto al delitto commesso. Poi è naturale che si possa fare sempre di più, soprattutto nel campo culturale, forse la cosa più difficile, e nella gestione dei beni sequestrati ma qui nessuno ha la bacchetta magica e ogni azione positiva, nel tempo, non può che portare a creare un circuito virtuoso. E’ ovvio anche che il Piano Sud dovrà essere, innanzitutto, un volano per lo sviluppo del mezzogiorno perché è nota l’incidenza estremamente positiva che ha una dotazione infrastrutturale moderna e efficiente sul rilancio economico di un territorio ma, allo stesso tempo, anche difeso adeguatamente dagli attacchi della criminalità che certamente vorrà intercettare parte del denaro destinato alla realizzazione delle opere.

Il governo Berlusconi ha già dimostrato nel corso di questi anni di avere la forza necessaria per combattere con vigore, e dati alla mano anche con un certo successo, la piovra criminale. La vulgata di una cattiva politica, di un certo pentitismo a orologeria e di una parte minoritaria della magistratura, che vorrebbe dimostrare che la nascita del più grande movimento politico degli anni ’90, che ha dato rappresentanza alla maggioranza di quelle persone che non si riconoscono nelle idee delle sinistre, sia frutto di un accordo perverso tra potere occulti, compreso quello mafioso, è davvero risibile. Poi succede che magari qualche pentito parli di un quadro completamente diverso da quello prospettato da alcune procure siciliane, in cui non compare Silvio Berlusconi ma altri soggetti, ed ecco che allora da quella stessa parte politica, che fino ad un secondo prima era impegnata nel lanciare fango contro l’avversario, partono distinguo, parole prudenti, difese appassionate verso le persone coinvolte. Tutto giusto ma dove era questa stessa gente quando Berlusconi era infangato senza prove a mezzo stampa? Il solito network mediatico-giudiziario continua imperterrito a dare credito a teorie e complotti che potrebbero essere buoni solo per qualche romanzo. Da anni è attivamente impegnato nella lotta all’avversario politico attraverso il discredito personale, l’uso disinvolto delle dichiarazioni di mafiosi pentiti (o presunti tali?), che molte volte parlano per sentito dire e nemmeno per esperienza diretta, la pubblicazione di atti che dovrebbero essere coperti dal segreto istruttorio e di conversazioni telefoniche più utili a riempire pagine di giornali scandalistici che atti giudiziari.

Sarebbe utile ricordare che recentemente la Giunta dell'Unione camere penali italiane, ha voluto precisare sul caso Ciancimino che «pur consapevole dell'estrema delicatezza e complessità delle varie indagini per fare luce sui molteplici scenari ancora inestricabili che hanno caratterizzato gli anni delle stragi di mafia, a margine di questa storia, ricorra, ancora una volta, il tema della disinvolta e poco ortodossa gestione di tutti quei personaggi che dapprima vengono ritenuti depositari di verità processualmente rilevanti, la cui attendibilità viene proclamata e difesa e che poi puntualmente disattendono tali aspettative, scoprendosi improvvisamente indagati per condotte incompatibili con quello status di dispensatori di verità processuali fino ad allora ricoperto». I penalisti hanno ricordato come di recente, Ciancimino, «allo status di imputato e di dichiarante di segreti scottanti (tanto da meritare una tutela da parte dello Stato che gli ha assegnato una scorta)», ha aggiunto la «veste diversa di detenuto in stato di custodia cautelare, poiché nuovo indagato del reato di calunnia ai danni del Prefetto, ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, anche lui destinatario delle sue propalazioni».«La richiesta di custodia cautelare – ha concluso la Giunta Ucpi- emessa dal gip di Palermo, si apprende essere stata depositata da quegli stessi rappresentanti del pm che fino ad oggi sembrava avessero dato credito alle sue dichiarazioni, gestendo la sua partecipazione in vari processi e procedimenti dove il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo aveva portato il suo contributo di verità mortis causa».

FONTE

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