mercoledì 18 maggio 2011

Oggi la laurea conta meno del diploma



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 17 maggio 2011

Il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, nel corso dell’audizione tenuta presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, ha affermato che «In Italia la laurea non paga. I nostri laureati lavorano meno di chi ha un diploma, meno dei laureati degli altri Paesi europei, e con il passare del tempo questa situazione è pure peggiorata».I dati. In Italia lavora il 66,9% dei laureati dai 25 ai 34 anni, contro una media europea dell’84%, (87,1% in Francia, 88% in Germania, 88,5% nel Regno Unito). Al contrario di quello che accade negli altri Paesi europei, il tasso di occupazione tra i laureati italiani in quella fascia di età è più basso di quello dei diplomati (69,5%).

Non solo. I giovani italiani non hanno ancora conseguito adeguati livelli d’istruzione e tra quelli che vengono definiti i ‘middle young’ (25-34 anni), quando normalmente il ciclo educativo dovrebbe essere compiuto, il 29% ha concluso solo la scuola secondaria inferiore, contro il 16% di Francia e Regno Unito e il 14% della Germania. I laureati registrano i valori più bassi rispetto agli altri grandi Paesi europei: il 20,7% a fronte di una media europea del 33%, del 40,7% del Regno Unito e del 42,9% della Francia. Altri dati negativi. Non solo abbiamo meno laureati rispetto agli altri paesi europei, ma questi pochi entrano tardi e male nel mondo del lavoro.Dati i tempi prolungati dei diversi cicli formativi, l’ingresso nella vita lavorativa per i giovani italiani è ritardato rispetto agli altri partner europei. Fra i più giovani (i cosiddetti ‘young young’: 15-24 anni) il 60,4% risulta ancora in formazione, rispetto al 53,5% della media dell’Ue, il 45,1% della Germania e il 39,1% del Regno Unito. Gli occupati sono il 20,5% rispetto al 34,1% della media europea, il 46,2% della Germania e il 47,6% del Regno Unito.

L’altra grande anomalia italiana è rappresentata dai giovani che non mostrano interesse né nello studio, né nel lavoro: in Italia sono l’11,2% rispetto al 3,4% della media europea.I dati sono veramente preoccupanti. Secondo la Salary Guide 2011, una ricerca condotta dalla Hays, società che è tra i leader mondiali nel reclutamento di professionalità manageriali, che ha coinvolto centinaia di aziende e migliaia di professionisti con l’obiettivo di indagare sul mercato del lavoro e sulle problematiche nuove o consolidate che lo affliggono, in Italia la laurea e in generale il titolo di studio contano davvero poco per le aziende rispetto all’esperienza di lavoro (in pratica solo nel 10% dei casi), mentre ben il 70% degli intervistati si dice pronto a emigrare all’estero per trovare una buona occupazione.

I numeri parlano chiaro: abbiamo pochi laureati rispetto agli altri paesi europei e questi pochi entrano anche tardi nel mondo del lavoro a causa dei lunghi cicli formativi. Nel nostro mercato i datori di lavoro preferiscono assumere un giovane diplomato invece che dei pari età laureati e l’esperienza conta più del titolo. La fuga all’estero è la scelta quasi obbligata per i giovani neo-laureati italiani che non riescono a trovare uno sbocco lavorativo? Davvero il nostro mercato del lavoro non riesce a offrire posti di qualità? E perché il nostro sistema dell’istruzione e della formazione, lungo e farraginoso, non riesce a ridurre al minimo il disallineamento tra offerta e domanda nel mercato del lavoro per quanto riguarda i posti disponibili vacanti per mancanza di adeguate professionalità?Queste domande hanno urgentemente bisogno di una risposta chiara e precisa non solo da parte del governo, che certo non ha la bacchetta magica e si è mosso con la riforma dell’università e altri interventi per stimolare il mercato in un periodo di crisi, ma anche dal mondo dell’istruzione, della formazione, delle imprese e delle professioni. Un mercato del lavoro funziona se girano tutti gli ingranaggi e se ognuno degli attori coinvolti fa bene il proprio dovere.

FONTE

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