giovedì 9 giugno 2011

Sì al referendum sull’acqua = Sì alla Casta, agli sprechi e alle tasse



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 09 giugno 2011

I referendum del 12 e 13 giugno sembrano aver risvegliato in molti un po' di senso civico. E fin qui le note positive. Nel merito, però, se si chiede alla maggior parte delle persone che andranno a votare «sì», spesso ci si imbatte in risposte davvero imbarazzanti sulle motivazioni. L'imbarazzo nasce dal fatto che queste persone non sanno su cosa andranno a votare.

Analizziamo i quesiti referendari sull'acqua. Questi ultimi, qualora fosse raggiunto il quorum e vincesse il «sì», bloccherebbero il processo di liberalizzazione della gestione del servizio idrico, facendo rimanere le cose così come stanno. Entriamo nel merito del problema senza perderci in chiacchiere da bar e slogan. I promotori del sì affermano che il loro intento è di difendere l'acqua pubblica, ma difficilmente entrano nel dettaglio. Perché? Molto semplice.

L'acqua, comunque vada il referendum, resterà sempre pubblica. L'art. 15 del Decreto Ronchi, che parla di «piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche», spazza via ogni dubbio. Così come pubbliche resteranno le infrastrutture e le reti. Il motivo del contendere, invece, è la gestione. Oggi il servizio è in mano al pubblico, alla «Casta», ai nominati della politica. Il problema, per la verità, non è neanche quello perché ciò che conta è la qualità del servizio offerto che, come tutti ben sanno e forse non ricordano, è spesso davvero scadente. E' questa la questione principale.

Il Decreto Ronchi cerca di assicurare ai cittadini una gestione più efficace ed efficiente, aprendo al libero mercato e alla trasparenza e rompendo, di fatto, un monopolio. Qual è l'alternativa proposta dai sostenitori del «sì» in materia di gestione del servizio idrico, appurato che la proprietà, al netto delle speculazioni, resterà in ogni caso pubblica? Queste persone hanno spiegato ai cittadini che i necessari interventi di ammodernamento della rete idrica, in caso di vittoria dei «sì», si pagherebbero a colpi di aumento delle tasse? No, non è stato spiegato. E non si tratta di una scelta, ma di un obbligo visto lo stato penoso in cui versa la nostra rete.

Secondo una recente indagine dell'Istat, si registra, a livello nazionale, una perdita del 47% di acqua potabile, dovuta alle necessità di garantire una continuità di afflusso nelle condutture, ma anche alle effettive perdite delle condutture stesse. Le maggiori dispersioni di rete si osservano in Puglia, Sardegna, Molise e Abruzzo dove, per ogni 100 litri di acqua erogata, se ne immettono in rete circa 80 litri in più; quelle più basse si riscontrano in Lombardia e nelle due province autonome di Trento e Bolzano.

Questi sono i fatti coperti dalla coltre della vulgata populista, che vuole chiamare i cittadini a esprimersi su quesiti che, nel caso in cui passassero, porterebbero a cose ben diverse rispetto a quelle propagandate.

FONTE

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