mercoledì 21 maggio 2008

Le nuove generazioni di immigrati



di Antonio Maglietta - 21 maggio 2008

Secondo Stefano Molina e Maurizio Ambrosiani, autori del libro Seconde generazioni. Un'introduzione al futuro dell'immigrazione in Italia (2004), i bambini e i ragazzi nati qui da stranieri o arrivati quando erano molto piccoli sono circa 400.000, con la previsione di arrivare ad un milione nell'arco di 10 anni. Le seconde generazioni nate dall'immigrazione sono in Italia prevalentemente composte da giovani e giovanissimi. Una fascia di età libera da sedimentazioni culturali e, quindi, almeno in linea teorica, priva di quei preconcetti che rendono ancora più duro l'adattamento ad una realtà diversa da quella a cui si era abituati. Il passaggio all'età adulta, unita alla scolarizzazione, accrescerà la loro rilevanza sul piano sociale, culturale, economico e, quindi, gioco-forza anche su quello politico. Sono necessariamente destinati a divenire parte integrante dei processi di crescita e sviluppo della nazione. Sono i figli delle ondate migratorie che hanno interessato il nostro Paese, soprattutto dall'inizio degli anni '90, e che oggi si trovano ad affrontare una quotidianità bicefala, dove nelle case si vive secondo gli usi dei luoghi di provenienza dei padri e fuori all'italiana. Vecchie e nuove appartenenze che si incontrano e scontrano e dove spesso a farla da padrone è l'incertezza e l'inquietudine, nel tentativo cosciente o meno di cercare una propria dimensione identitaria all'interno di questi mondi che spesso sono molto distanti tra loro.

Nel libro Prove di seconde generazioni. Giovani di origine immigrata tra scuole e spazi urbani (2006), l'autore Queirolo Palmas pone l'accento sull'autonomia espressa dai giovani immigrati, rispetto ai percorsi seguiti dai padri, nella scuola, nella strada, nello stile, nell'estetica del vestiario, nel linguaggio e, quindi, in generale nel modello di integrazione. In Pecore nere. Racconti (2005), a cura di Flavia Capitani e Emanuele Coen, si narrano otto storie di vita vissuta di figlie di immigrati, nate o cresciute in Italia, dove le protagoniste raccontano della loro identità divisa tra vecchie e nuove appartenenze. I loro percorsi integrativi, per diverse ragioni, non potranno che essere diversi rispetto a quelli seguiti dai genitori. Infatti per chi viene già adulto nel nostro Paese i problemi sono di natura essenzialmente pratica e relativi a questioni legate al lavoro, alla vita domestica, all'uso dei servizi sociali e degli spazi urbani (vedi Sciortino G., Colombo A., Stranieri in Italia. Un'immigrazione normale, 2003).

Per i giovani immigrati i problemi sono altri e riguardano più specificatamente la loro identità. I dubbi sono innanzitutto sul «chi sono» e non essenzialmente sul «come vivere la quotidianità». C'è dunque bisogno di altri schemi interpretativi dell'immigrazione che non ripropongano vecchi strumenti di integrazione e vetuste formule di accettazione del diverso ma percorsi e strumenti innovativi. In Appartenenze multiple. L'esperienza dell'immigrazione nelle nuove generazioni (2006), Valtolina e Marazzi sottolineano come l'affacciarsi nella società delle seconde generazioni di immigrati segna un duplice momento cruciale per una nazione: quello di capire quali possono essere le giuste modalità per gestire in maniera equilibrata i rapporti interetnici e se gli strumenti a disposizione per l'integrazione degli stranieri sono quelli idonei a risolvere eventuali problemi. In quest'ottica diventa fondamentale capire il ruolo della scuola e degli enti locali, che sono indubbiamente i luoghi istituzionali attraverso i quali deve necessariamente passare qualsiasi azione in materia di integrazione dei giovani stranieri. Un interessante libro di qualche anno fa, Come un pesce fuor d'acqua. Il disagio nascosto dei bambini e dei ragazzi immigrati (2002), segnalava l'importanza dell'educatore, sia dal punto di vista didattico che umano, nel capire i sentimenti e i segnali delle sofferenze piccole e grandi dei giovani stranieri, ognuno con il proprio disorientamento, con le proprie scoperte, illusioni, speranze, timori e sogni.

Ma il luogo fisico dello sviluppo di una propria identità culturale non può essere solo la scuola, spesso appesantita da tante responsabilità che rendono inefficace qualsiasi sua azione. Anche le strade e i quartieri delle nostre città sono molto importanti perché le cittadelle identitarie, che sorgono all'interno delle metropoli, dove spesso vivono concentrate la maggior parte delle persone della stessa nazionalità (la più famosa è la chinatown), rischiano di essere un ostacolo all'integrazione dei giovani stranieri, come dimostra il fallimento delle politiche sull'immigrazione dei maggiori paesi occidentali in cui questo fenomeno ha assunto rilevanza. A riguardo diventa fondamentale l'azione degli enti locali sul fronte del rispetto delle regole in modo da dare comunque il segnale che quelle strade e quei palazzi non sono l'ambasciata del paese di origine ma territorio nazionale del paese ospitante.

Secondo l'Enciclopedia Treccani, con la parola integrazione si intende in senso generico il fatto di integrare, di rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente a un determinato scopo, aggiungendo quanto è necessario o supplendo al difetto con mezzi opportuni. Ecco allora che il nostro compito è innanzitutto quello di capire quale è lo scopo delle nostre azioni in materia e se i mezzi a disposizione sono idonei a raggiungerlo. Allora qui il la questione non è quella di ridurre i tempi per l'acquisizione della cittadinanza o di introdurre lo ius soli nel nostro ordineamento (diritto di diventare cittadini per il solo fatto di essere nati in Italia), perché un giovane si sente cittadino del paese in cui vive solo se la permanenza su quel territorio è stanziale e continuativa e non per il solo fatto di esserci nato per poi magari vivere per il resto della propria vita in un altro paese. Il dato da introdurre nel tema è quello, invece, di dare centralità alla scuola e agli enti locali nella gestione dei processi integrativi. Le nuove generazioni di immigrati possono essere una risorsa per la crescita del paese solo se tutti insieme, istituzioni, noi giovani cittadini italiani e loro giovani futuri cittadini italiani, sapremo cogliere questa opportunità.

Antonio Maglietta

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