martedì 22 febbraio 2011

Crisi libica: la demagogia della sinistra



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 21 febbraio 2011

Le rivolte in Tunisia, Egitto, e ora anche in Libia, hanno avuto come effetto immediato quello di aumentare il numero di persone in partenza da quei luoghi e dirette verso l'Europa alla ricerca di un futuro migliore. A Lampedusa, dall'inizio del 2011, sono sbarcate quasi 6mila persone. Nello stesso periodo dello scorso anno gli sbarchi erano stati solamente una cinquantina e, se prendiamo in considerazione l'intero anno, gli arrivi avevano raggiunto quota 3mila. Negli ultimi anni il 2008 è stato quello più complicato, con 37mila arrivi. L'Italia era diventata il ventre molle d'Europa. L'accordo stretto dal nostro paese con la Libia, uno dei primi atti del governo in carica, una volta divenuto operativo (maggio 2009) aveva invertito questa dinamica e gli sbarchi erano drasticamente diminuiti. Questo è un dato di fatto e non certo una considerazione oggetto di speculazione politica.

La rivolta scoppiata ora in Libia, dopo quella in Tunisia, rischia di far aumentare gli arrivi sulle nostre coste in modo vertiginoso, visto che l'Italia è il paese più vicino ai due stati nord africani. Qualcuno, come Bersani ad esempio, si è rimesso a criticare l'accordo stretto dal nostro paese con la Libia nell'estate del 2008, definendolo una scelta sbagliata e affermando che, con le rivolte in corso in quel paese, il patto verrà meno. A queste persone bisogna rispondere che il solo controllo di polizia da parte del paese ospitante è un pannicello caldo, che può fare poco o nulla e che gli unici strumenti utili per combattere l'immigrazione clandestina sono proprio gli accordi bilaterali e i progetti di cooperazione allo sviluppo. Si tratta di una strategia che ha già dato i suoi frutti con l'Albania e che li stava dando anche con la Libia che, bisogna sempre ricordarlo, è la base delle partenze della maggior parte degli immigrati che arrivano clandestinamente via mare nel nostro paese. Con chi dovevamo firmare gli accordi se non con chi deteneva l'autorità nel paese e cioè con Gheddafi? Queste accuse sono davvero risibili. L'unica strada che andava intrapresa con coraggio per combattere efficacemente le direttrici della tratta degli esseri umani era proprio quella scelta dal governo Berlusconi. Quale, altrimenti, l'alternativa? Non certo continuare a far restare Lampedusa solo un «luogo di soccorso e primissima identificazione», come ad esempio chiesto da Amnesty International nel Rapporto Annuale 2009 sulla situazione dei diritti umani, e cioè un luogo dove chiunque possa sbarcare in sfregio alle leggi sull'ingresso legale nel nostro Paese.

Sono ridicole le affermazioni di Franceschini e Veltroni, che chiedono al nostro governo di intervenire nella rivolta in corso in Libia lamentando l'inerzia del nostro paese. I due non sono scesi nel dettaglio, ma si sono limitati a dichiarazioni generiche; non si sono fatti certo portatori di una proposta concreta e realizzabile. Sarebbe chiedere troppo. L'unica cosa sensata da fare in questo momento nel brevissimo periodo è: tenere per quanto possibile la situazione sotto controllo con i pattugliamenti nel Mediterraneo, non solo con mezzi e uomini italiani, ma a anche con l'intervento europeo in toto e nello specifico di Frontex, l'agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, e condannare le violenze in Libia con una sola voce per tutta l'Europa. La condanna deve essere forte e unanime.
Giusto, quindi, l'appello dei 27 ministri degli Esteri Ue, che hanno chiesto «a tutte le parti» di astenersi da ogni forma di violenza: spetterà al popolo libico scegliere il proprio futuro e tutti i governi europei dovranno rispettare questo processo con l'augurio che la stabilizzazione di quel paese avvenga in tempi rapidi e con modi meno cruenti possibili, cosa che, comunque, non sembra essere all'orizzonte visti gli scontri violenti e sanguinosi in corso. Ci aspettano giorni duri e situazioni complesse da affrontare.
Il ministro Frattini al momento si è mosso molto bene, con la giusta e necessaria prudenza e in coordinamento con i suoi colleghi europei. La prudenza è d'obbligo, anche perché nessuno oggi è in grado dire come si evolverà la situazione. Nessuno, tra i governi europei, ha parteggiato ufficialmente solo per una parte nella crisi tunisina e in quella egiziana. E' stata solamente chiesta dapprima la cessazione delle violenze e, successivamente, è stata accettata quella che è stata l'evoluzione della situazione. Lo stesso avviene ora per la Libia. Secondo il ministro Frattini bisogna «rispettare la ownership nazionale della riconciliazione. Non possiamo pensare che alla fine del processo vi sia una divisione in due del Paese» (in una delle quali finisca per prevalere l'estermismo islamico). Un Paese che, ha sottolineato il capo della diplomazia italiana, «è sulla soglia di una guerra civile». Lo stesso ministro ha giustamente sottolineato che sulla situazione in Libia la posizione dell'Italia coincide con quella europea: «Sono il ministro degli Esteri di un paese europeo e le richieste alle autorità libiche le abbiamo fatte insieme, come Europa. Ora aspettiamo la risposta da Tripoli». «Il consiglio - si legge nelle conclusioni che anche Frattini ha riportato in conferenza stampa - chiede un'immediata fine dell'uso della forza contro i dimostranti, e moderazione da parte di tutte le parti in causa». Inoltre, «alle legittime aspirazioni e richieste di riforme da parte del popolo si deve rispondere attraverso un dialogo guidato dai libici» che sia «aperto, completo, significativo e nazionale, che porti a un futuro costruttivo per il paese e per la popolazione».

FONTE

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