mercoledì 2 giugno 2010

Giovani, mercato del lavoro e welfare state


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 31 maggio 2010

«La crisi ha acuito il disagio dei giovani nel mercato del lavoro». E' l'allarme che giunge dal Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nel corso delle considerazioni finali pronunciate nell'assemblea annuale dell'istituto. «Nella fascia di età tra 20 e 34 anni la disoccupazione ha raggiunto il 13% nella media del 2009. La riduzione rispetto al 2008 della quota di occupati tra i giovani è stata quasi sette volte quella osservata fra i più anziani. Hanno pesato - ha spiegato Draghi- sia la maggiore diffusione fra i giovani dei contratti di lavoro a termine sia la contrazione delle nuove assunzioni, del 20%». «Da tempo vanno ampliandosi in Italia - ha proseguito Draghi- le differenze di condizione lavorativa tra le nuove generazioni e quelle che le hanno precedute, a sfavore delle prime. I salari di ingresso in termini reali ristagnano da quindici anni».

A questi dati bisogna aggiungere quelli forniti da ultimo dall'Istat e dall'Ocse. Secondo il Rapporto annuale 2009 dell'istituito nazionale di statistica, il mondo giovanile in Italia resta il più penalizzato dal punto di vista del lavoro: lo scorso anno il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (25,4%) è più del triplo di quello totale (7,8%) e più elevato di quello europeo (19,8%). Il tasso di occupazione è sceso in un solo anno al 44% (dal 47,7% del 2008). Come nel 2008, il tasso di disoccupazione italiano è inferiore a quello dell'Ue (7,8 contro 8,9%), ma ha spiegato l'Istat, si associa tuttavia a un tasso di inattività più alto e in crescita (37,6contro 28,9%). La crisi per i giovani sotto i 29 anni ha significato, solo nel 2009, 300.000 posti in meno rispetto al 2008, un crollo di oltre tre punti percentuali. Anno nero in particolare per i figli che ancora vivono a casa con la famiglia, «salvati» proprio dalla protezione familiare. Anche questo trend, tradizionale in Italia, potrebbe però peggiorare: molti capifamiglia hanno mantenuto un livello economico decente solo grazie alla Cassa integrazione, che ovviamente è a termine. In ogni caso, a tenere a galla le famiglie italiane è il basso indebitamento, un fenomeno di lunga durata che rende la ricchezza finanziaria netta delle famiglie ben più grande (circa il doppio) del Pil. Proprio la solidità delle famiglie italiane, rileva l'Istat, ha attutito gli effetti della crisi garantendo la tenuta del paese.
Secondo l'Economic Outlook dell'Ocse, la recessione in Italia «è finita a metà del 2009», ma «la ripresa secondo le previsioni procederà a passo lento nel complesso del 2010, rinforzandosi un po' nel 2011». Restano timori però soprattutto sul fronte della disoccupazione che nel 2011 continuerà a crescere.
Insomma in Italia, la crisi economica, che sta dispiegando i suoi effetti negativi in campo occupazionale in tutto il mondo, colpisce soprattutto i giovani a causa della contrazione delle nuove assunzioni e alla diffusione dei contratti a termine. Va aggiunto, però, che senza quei tipi di contratti molti giovani o resterebbero a casa o lavorerebbero in nero. Al netto delle speculazioni ideologiche sul tema, la strada da seguire, per rispondere al meglio alle ripercussioni negative imposte dalla crisi mondiale, sarebbe quella di partire da quanto già fatto (istituzione della cassa integrazione in deroga) per arrivare a offrire una copertura sociale anche a tutti quei giovani che oggi ne sono sprovvisti. Questo significherebbe rivedere la nostra spesa sociale, bilanciando l'attuale sistema degli ammortizzatori sociali a favore della componente giovanile della forza lavoro, magari intaccando un po' di privilegi di qualche burosauro. E' ovvio che quando si mette mano in questo mare magnum, non aumentando la spesa pubblica ma ridefinendo alcuni meccanismi, c'è sempre qualcuno che si arrabbia; tuttavia varrebbe la pena correre questo rischio per dare una giusta copertura sociale, laddove ne siano sprovvisti, ai tanti giovani che si impegnano quotidianamente nel proprio lavoro con passione e dedizione.
Non è più concepibile che l'ammortizzatore sociale per eccellenza delle nuove generazioni debba essere il reddito della propria famiglia. Il rischio è di mandare definitivamente in soffitta tutte le buone parole e le ottime intenzioni che da decenni si ascoltano sull'attivazione dell'ascensore sociale. «Credo nelle idee che diventano azioni», diceva Ezra Pound. Sarebbe davvero un incubo insopportabile vivere in una società in cui le appartenenze familiari sono il più efficace mezzo per collocarsi nel mercato del lavoro e, al contempo, il principale ammortizzatore sociale.

Nessun commento:

Google