venerdì 4 giugno 2010

Mi ritorni in mente…



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 04 giugno 2010

Negli ultimi tempi il dibattito pubblico si è arricchito delle dichiarazioni di Walter Veltroni, Carlo Azeglio Ciampi, Pietro Grasso e Nicola Mancino. Il quesito lo ha posto Veltroni: perché inizia la stagione stragista del 1992 e per quale motivo finisce nel 1993? Innanzitutto è singolare che a porsi le domande, a fare congetture, a rievocare fatti a distanza di anni, siano queste persone, se non altro per i ruoli che hanno ricoperto e che tuttora ricoprono. Dovrebbero dirci perché di certe cose ne parlano ora e non l'hanno fatto prima. Stiamo parlando di: colui che all'epoca dei fatti era il direttore dell'Unità e, nel recente passato, vicepresidente del Consiglio nel I° governo Prodi e poi leader del maggior partito di opposizione; l'ex presidente del Consiglio italiano in carica in quegli anni, ex Presidente della Repubblica e attualmente senatore a vita; una persona seria che oggi riveste l'autorevole ruolo di procuratore antimafia e che ha seguito e coordinato proprio le inchieste sui quei tragici avvenimenti; infine, l'allora Ministro dell'Interno e attuale vicepresidente del Csm

Il minimo comun denominatore di questo diluvio di dichiarazione è che quegli attentati non furono solo di matrice mafiosa ma messi in atto da menti più raffinate per destabilizzare il paese e incidere sul corso della storia politica. Qualcuno ha parlato addirittura di un tentativo di golpe. Come ricordato dal leader morale della sinistra che corre a «manetta», Marco Travaglio, «Grasso, da procuratore di Palermo, assieme al Csm estrometteva dal pool antimafia tutti i pm che indagavano su quella pista». Il senatore Ciampi, invece, dopo soli 17 anni, si è ricordato che forse il nostro paese ha rischiato di subire un colpo di Stato mentre Walter Veltroni, cinico al quadrato, dopo aver scritto un libro sulla strage dell'Heysel ed averlo presentato a ridosso della commemorazione dell'anniversario, si è ricordato di essere un componente della commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e ha cercato di cavalcare l'onda per restare sotto la luce dei media. E, infine, Nicola Mancino, che rileviamo ancora, era il Ministero dell'Interno all'epoca dei fatti, si ricorda, anche lui dopo 17 anni al pari di Ciampi, che forse l'Italia ha corso il rischio di subire un golpe senza aggiungere altre notizie. Fu solo una sensazione oppure ci sono stati atti concreti e su larga scala che hanno fatto temere per il peggio? E loro possono affermare in base alle informazioni in loro possesso, in qualità di ex presidente del Consiglio ed ex ministro dell'Interno dell'epoca, chi, come e perché armò la mano degli attentatori e degli assassini?
Si tratta di una sequenza di fatti seria, che ha inciso in profondità sulla vita di questo paese e sul quale è bene fare chiarezza. In mancanza di prove, e se qualcuno ne ha che le metta a disposizione delle autorità competenti, non resta che aggrapparsi alla logica e alla realtà dei fatti, che serve solo per mettere in ordine una sequenza di avvenimenti e non certo per dare risposte campate in aria ai tanti interrogativi che ci sono su quel periodo.
Innanzitutto bisogna capire se la destabilizzazione del quadro politico italiano sia avvenuta con le bombe e gli omicidi o con le inchieste della magistratura (Tangentopoli) che spazzarono via un'intera classe politica che, a detta di molti autorevoli commentatori degli avvenimenti di quel momento storico, era debole e vulnerabile. Una classe politica forte avrebbe trovato i meccanismi necessari per riformarsi senza cedere lo scettro del potere reale alla magistratura. La sequenza di atti, quindi, non può che partire dalle inchieste della magistratura che colpirono e affondarono una classe politica già vulnerabile, provocando la destabilizzazione del paese. In questo quadro s'inseriscono le bombe e gli omicidi eccellenti, che magari andarono a rafforzare il senso di destabilizzazione, ma certo non furono la causa principale del collasso di un'intera classe dirigente. Al netto delle opinioni che si possono avere su cosa fu Tangentopoli, è innegabile che il vuoto politico si sia avuto concretamente in quel momento.
Secondo fatto: cui prodest? In questo caso è bene sgombrare il campo da «pizzini» a mezzo stampa e facili analisi fatte con il senno di poi. Com'è facilmente desumibile leggendo i giornali dell'epoca, le uniche forze in grado di poter colmare sulla carta e secondo la logica, a detta di tutti i commentatori, il vuoto politico che si era venuto a creare erano quelle riunite nella «gioiosa macchina da guerra» della sinistra italiana (che ovviamente non erano certo i mandanti delle stragi), peraltro baciata anche da un certo successo alle amministrative del 1993. Poi la storia è andata diversamente, ma all'epoca dei fatti nessuno avrebbe scommesso sull'affermazione alle elezioni politiche della coalizione messa in piedi da Silvio Berlusconi. Gli editoriali sui giornali che sbeffeggiavano la discesa in campo del Cavaliere si sprecavano. Nessuna persona intellettualmente onesta può affermare il contrario.
Perché limitarsi a guardare solo il campo politico e non vedere le dinamiche di quello economico? Che cosa successe in quegli anni? Dal 1991, attraverso l'uso dei decreti fu cambiata la forma societaria delle aziende statali e fu dato il via alla stagione delle privatizzazioni che vide alcuni colossi dell'economia italiana passare dalle mani pubbliche a quelle private.
Terzo fatto: perché a un certo punto la stagione stragista inizia e in un certo momento finisce? Noi non abbiamo prove in mano che possano dare delle risposte certe ma chiediamo con forza a chi ne ha, o si cimenta in dietrologie palesando una certa sicumera, di scoprire le carte e di rivolgersi al più presto alle autorità competenti. Tutto il resto sono chiacchiere da bar che non fanno onore a chi le proferisce, con l'aggravante che così facendo si alimenta in maniera irresponsabile il diffondersi di quella cultura del sospetto senza prove che avvelena la convivenza civile in questo paese.

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