giovedì 24 giugno 2010

A POMIGLIANO VINCE IL LAVORO



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 23 giugno 2010

I lavoratori di Pomigliano hanno votato e hanno deciso. Al termine dello scrutinio dei 4.642 voti al referendum sull'accordo tra Fiat e sindacati (Fiom esclusa), con una affluenza del 95% degli aventi diritto, i sì sono stati 2.888, i no 1.673, le schede nulle 59 e le bianche 22. L’accordo, dunque, è stato accettato dalla maggioranza dei lavoratori. Non è stato certo un plebiscito ma, certamente, siamo dinanzi a numeri significativi.

Sbaglia la Fiom-Cgil, contraria all’accordo, a cantare vittoria, dato che i numeri sono chiari e determinano la sconfitta della loro linea, e sbaglia ancora di più Susanna Camusso, vicesegretaria nazionale della Cgil, a chiedere la riapertura del confronto per arrivare a una soluzione condivisa, perché una volta che si chiede ai lavoratori di esprimersi sul proprio futuro, e ciò è avvenuto, il risultato della consultazione deve essere rispettato. E sbaglia ancora la stessa Camusso ad attaccare Sacconi a testa bassa quando afferma che «non mi trovo in accordo con il ministro che nella notte ha parlato di svolta storica, di relazioni moderne. Penso che il ministro debba rassegnarsi al fatto che un paese moderno ne' divide i sindacati, ne' cancella i diritti dei lavoratori».Nessuno ha cancellato i diritti dei lavoratori, e la vittoria del sì al referendum ne è la prova, e nessuno ha lavorato per incrinare l’unità sindacale. Più semplicemente questo finto totem non c’è più nei fatti perché all’interno del mondo sindacale non c’è una condivisione d’intenti e non esiste una visione concordante tra le varie sigle in materia di relazioni industriali. C’è, invece, una profonda differenza di vedute tra la Cgil e il resto del mondo sindacale che ha radici profonde e che si è acuita dal momento in cui che il sindacato rosso, consapevolmente o meno, si è trasformato in un’entità di natura politica che cerca di coprire il vuoto lasciato a sinistra dalla scomparsa del Pci.

Inqualificabile la posizione di Di Pietro che ha parlato di referendum farsa e di ricatto ai lavoratori. Innanzitutto è sempre una cosa positiva quando si usano strumenti di natura democratica per rendere parteci i lavoratori del proprio destino e, quindi, bollare il tutto come farsa non è certo un modo per rispettare i dipendenti della Fiat di Pomigliano che si sono recati a votare. Inoltre, il ricatto non c’è stato perché ai lavoratori non è stato chiesto di scegliere tra condizioni di lavoro inumane e chiusura della fabbrica e non sono state contrapposte l’esigenza di far funzionare la fabbrica con quella di salvaguardare i diritti fondamentali dei lavoratori. Nello stabilimento Fiat di Pomigliano c’è un problema legato all’assenteismo e alla bassa produttività del lavoro. L’accordo (taglio di organico stimato intorno alle mille unità; turni settimanali che saliranno a 18, compreso quello di domenica notte; incremento del 200% anche per le ore obbligatorie di straordinari annui, oltre alla possibilità di punire gli scioperi ritenuti “ingiustificati” anche con il licenziamento) non ha fatto altro che dare una soluzione equilibrata al problema, applicando la possibilità di derogare a livello locale il contratto nazionale prevista dall’accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali tra Governo e sindacati del 22 gennaio dello scorso anno.
Insomma non c’è alcuna deroga che comprime i diritti fondamentali dei lavoratori. Le parole di Di Pietro, inoltre, farebbero intendere anche che i sindacati favorevoli all’accordo (tutti tranne la Fiom-Cgil) hanno rinunciato a difendere i diritti fondamentali dei lavoratori. Se il leader dell’Idv pensa che sia davvero così che lo dica in maniera espressa e senza tanti giri di parole, assumendosene anche la responsabilità.

Ambigua, invece, la posizione del Partito Democratico. Favorevole al sì all’accordo ma mai critico nei confronti della Fiom-Cgil. Forse è ancora vivo nei dirigenti del Pd il ricordo dell’attivismo del sindacato rosso durante le primarie del partito nella scelta del segretario nazionale oppure il tirare le orecchie all’unico baluardo rimasto nella sinistra a tinte rosse vieni vissuto come un atto di lesa maestà. Qualunque sia il motivo di quest’ambiguità, resta il fatto che le dichiarazioni rese dai vari Enrico Letta e Walter Veltroni, favorevoli all’accordo tra Fiat e sindacati, hanno segnato una presa di distanza dalle scelte della Cgil.

Ora, comunque, al netto di tutte le polemiche, ci sono le condizioni per fare gli investimenti, in un arco temporale di un anno e mezzo circa, e per garantire i posti di lavoro dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e di tutto l’indotto . La palla passa ai vertici della Fiat che dovranno confermare il loro impegno di investire 700 milioni di euro e dì portare la produzione della Panda nello stabilimento campano.

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