lunedì 18 ottobre 2010

Il fallimento del multiculturalismo



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 18 ottobre 2010

Il cancelliere tedesco Angela Merkel, durante il congresso dei giovani di Cdu (Unione Cristiano Democratica) e Csu a Potsdam, ha affermato che il modello multiculturale in Germania è «totalmente fallito». Secondo la Merkel «la Germania non ha mano d'opera qualificata e non può fare a meno degli immigrati, ma questi si devono integrare e devono adottare la cultura e i valori tedeschi», compreso imparare la lingua. Il cancelliere tedesco sostiene che «l'idea di vivere fianco a fianco in serenità» è fallito per un approccio iniziale sbagliato, spiegando che quando «all'inizio degli anni Sessanta» la Germania ha «invitato i lavoratori stranieri a venire» non si era immaginato che poi questi si sarebbero stabiliti, comprese le future generazioni, nel Paese. «Ci siamo in parte presi in giro quando abbiamo detto "non rimarranno, prima o poi se ne andranno"», ha continuato Angela Merkel, sottolineando però che tutti gli extracomunitari sono ancora graditi in Germania, anche perché essenziali in determinati ambiti lavorativi.
Il fallimento tedesco certifica ancora una volta, se ancora ci fosse qualche dubbio, che il multiculturalismo è un modello che divide e non unisce, che alimenta l'odio verso la diversità e non favorisce la tolleranza. Ma cosa è il multiculturalismo? Si tratta di una politica volta a riconoscere e a tutelare l'identità culturale e linguistica delle varie componenti etniche presenti in un dato paese. Da dove nascono le criticità? Secondo il professor Giovanni Sartori, che ha saputo sintetizzare i fattori critici del multiculturalismo, la buona società è quella aperta e pluralistica fondata sulla tolleranza e sul riconoscimento del valore della diversità. Il multiculturalismo non è una prosecuzione del pluralismo ma, al contrario, la sua negazione, poiché non persegue un'integrazione differenziata, ma una disintegrazione multietnica. Il pluralismo difende ma contemporaneamente frena la diversità e richiede l'assimilazione, il multiculturalismo non fa che accentuare le diversità mediante politiche di riconoscimento. Mentre con l'affirmative action i principi del costituzionalismo liberale (governo della legge e generalità di questa) vengono rispettati, il multiculturalismo mina le basi della convivenza democratico-liberale. Questo secondo Sartori porta alla Bosnia e alla balcanizzazione (Giovanni Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica, Milano, 2002).
Bisogna partire da un presupposto fondamentale per capire meglio. I paesi ricchi hanno da sempre bisogno di manodopera che alimenti la spinta produttiva di certi settori (agricoltura, edilizia, industria in senso stretto e, da ultimo, servizi per la cura della persona). Sempre più spesso questo fabbisogno non riesce a trovare una risposta soddisfacente all'interno del mercato del lavoro nazionale ed ecco che la leva dell'immigrazione è usata per rispondere a questa esigenza che nasce nel sistema economico e produttivo. Ovviamente l'immigrato non è un robot che, terminato il lavoro, si spegne e si mette a posto nel ripostiglio. E' una persona che, al di fuori del working time, ha spesso una famiglia e una vita sociale da vivere secondo usi e costumi propri del luogo da cui viene e una religione da professare. Ed è qui, da questa banalissima considerazione, che nascono quasi tutte le problematiche riguardanti il fenomeno dell'immigrazione.
Integrarsi significa adattarsi alla realtà che si vive e compiere un processo attraverso il quale diventare parte integrante di un sistema sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l'ordine normativo (definizione di integrazione sociale). Quindi, se integrarsi vuol dire aderire ai valori, stiamo parlando in primis di un processo tutto personale, che ovviamente investe tutto quello che in sociologia rientra nella definizione dei cosiddetti gruppi primari e secondari, ma che riguarda fondamentalmente la sfera della volontà personale. La scuola, la famiglia, le istituzioni, magari anche l'ambiente di lavoro sono importanti nel processo di integrazione, ma l'aspetto fondamentale risiede nella volontà dell'individuo di adattarsi ai valori del paese in cui vive.
E' ovvio, poi, che siano fattori che non aiutano l'essere sottopagato, lavorare in nero e senza tutele, avere problemi con il processo di scolarizzazione dei figli, non riuscire a far vivere dignitosamente la propria famiglia con quello che si guadagna. Allora bisogna chiedersi se è giusto usare la leva dell'immigrazione per alimentare i processi produttivi di alcuni settori dell'economia nazionale senza considerare le ricadute di quest'operazione e anche se siamo in grado di gestire al meglio questi fenomeni con gli strumenti fin qui conosciuti e i parametri fino ad ora adottati. Alcuni operatori del sistema economico e produttivo, che usano, talvolta impropriamente, la leva dell'immigrazione per rispondere a un proprio fabbisogno, senza curarsi minimamente delle ricadute complesse di questo loro semplice gesto, dovrebbero fare la loro parte e cioè puntare il più possibile sulla formazione professionale e l'innovazione tecnologica, rispettare di più chi lavora e pagare il giusto senza mettere in concorrenza selvaggia gli autoctoni e gli stranieri.
Le difficoltà di alcuni processi sociali, come la convivenza e l'integrazione, unite a quelle di natura economica rappresentano il giusto carburante per alimentare tensioni nella società. In tutto questo, il modello multiculturale, che prevede attraverso le politiche di riconoscimento di adattare il sistema all'esigenza particolare e non generale, porta all'esaltazione massima degli egoismi e alla disgregazione sociale.
Il sistema dei valori di un paese non si può deformare secondo le esigenze dell'economia che ha bisogno di manodopera a basso costo. Deve essere l'immigrato, con un percorso personale, certamente non facile, ad aderire ai valori che definiscono l'ordine normativo di un paese. E' lui che deve cambiare qualcosa nel suo modo di vivere e non il sistema che lo ospita. Solo così si favorisce l'integrazione e si preserva la pace sociale.

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