giovedì 26 novembre 2009

Biotestamento: cinque domande all'onorevole Di Virgilio



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 25 novembre 2009

Domenico Di Virgilio è un medico prestato alla politica. Prima di essere eletto alla Camera dei Deputati ha svolto per 38 anni la professione negli ospedali romani ed è stato per 21 anni primario medico presso l'ospedale Giuseppina Vannini di Roma. E' autore di oltre 100 pubblicazioni a contenuto bioetico, epatologico, gastroenterologico, diabetologico, cardiologico e di medicina preventiva. Oggi siede tra i banchi di Montecitorio nelle file del Popolo della Libertà, di cui è uno dei vice presidenti del gruppo alla Camera, ed è il relatore del ddl Calabrò sul testamento biologico.

Onorevole Di Virgilio, sono stati circa 2.600 gli emendamenti presentati in Commissione Affari Sociali alla Camera sul ddl Calabrò. Come giudica l'atteggiamento tenuto dell'opposizione su un argomento così delicato?

Desidero interpretare un così elevato numero di emendamenti come un segno di grande sensibilità e di interesse da parte dei parlamentari, anche se i 2.400 presentati dai colleghi radicali fanno pensare ad un larvato ostruzionismo, ma spero di sbagliarmi. Certamente le dichiarazioni dell'ex ministro Livia Turco, che reclama «una legge più umana», che imponga l'astensione dall'accanimento terapeutico, un maggior aiuto alle famiglie, mi sembrano superflue in quanto già contenute nel testo proveniente dal Senato e comunque da me annunciate sia nella relazione introduttiva a luglio che nella replica di alcuni giorni fa in Commissione Affari Sociali, ma soprattutto contenuti negli emendamenti da me presentati.

Tra i punti di attrito emersi nel corso della discussione in Commissione sul disegno di legge in questione ci sono il valore non vincolante delle DAT (Dichiarazioni anticipate di trattamento) e la gestione del rapporto medico-paziente. A quale soluzione si potrebbe arrivare su questi punti nel passaggio a Montecitorio?

I sei emendamenti che ho presentato vanno a migliorare il testo pervenuto dal Senato su tre aspetti fondamentali della legge, e cioè l' alleanza terapeutica, il consenso informato e le dichiarazioni anticipate di trattamento. Tra questi emendamenti ve n'è uno che intende estendere la normativa a tutti i casi in cui il medico curante riscontri un'incapacità di comprendere le informazioni e non solo nello stato vegetativo. Le DAT non possono essere vincolanti per il medico in quanto, se così fosse, al paziente non potrebbero essere applicati quei vantaggiosi progressi della medicina che si potrebbero realizzare nell'intervallo temporale tra il momento della DAT e l'eventuale momento in cui si realizzi, nel futuro, una determinata situazione patologica imprevista. Un altro emendamento vuole proporre una soluzione in caso di controversia tra fiduciario e medico curante, e quindi nel caso che l'alleanza terapeutica cessi di sussistere; la soluzione prevede il ricorso ad un collegio di medici il cui parere è vincolate per il medico curante, il quale però non è tenuto a condividerle. Con l'alleanza terapeutica si vuole recuperare idealmente il rapporto medico-paziente anche in una situazione estrema, in cui il soggetto non è più in grado di esprimersi. In tal modo quel rapporto di fiducia che da sempre lega direttamente o indirettamente il paziente al medico, continua anche davanti all'impossibilità del malato di interagire, concretizzandosi nel dovere del medico di prestare tutte le cure di fine vita, agendo sempre nell'interesse esclusivo del bene del paziente. Inoltre desidero evidenziare che esiste un rischio grave, che spesso è sottovalutato o non percepito adeguatamente, quello dell'abbandono terapeutico, un rischio grande, che nasce dalla crescente conflittualità, dalla paura dei medici, dalla sfiducia dei pazienti e dei familiari che a volte portano il medico a mettersi sulla difensiva.

Altro tema spinoso è quello della nutrizione e dell'idratazione del paziente. Quali sono le posizioni emerse sul tema e quale, secondo lei, il possibile punto di equilibrio?

Resta fermo che privare un paziente che è ancora in grado di farne uso per il suo metabolismo di cibo ed acqua non significa sospendere una terapia (un'azione che, a certe condizioni e in determinate circostanze, può essere lecita o addirittura doverosa), ma non prendersi più cura di un malato (un'azione, l'abbandono di una persona non fisiologicamente autosufficiente, che è sempre un male). Idratazione e nutrizione, anche artificiali, sono sempre da considerare sostegni vitali anche se richiedessero tecniche sofisticate per essere adeguatamente attuate. In un mio emendamento, comunque, è prevista la possibilità della sospensione di alimentazione e idratazione, che comunque non costituendo terapie non possono far parte della DAT, soltanto nel caso in cui queste non risultino efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari.

Quali tempi prospetta per l'arrivo in aula del provvedimento?

C'è un impegno dei capigruppo perché la discussione in aula inizi nel mese di dicembre.

Una volta arrivato in aula, quali potrebbero essere a suo avviso i margini di modifica del testo uscito dalla Commissione?

Questo è imprevedibile, in quanto esiste per tutti libertà di coscienza. Spero però che, una volta raggiunta una convergenza sui miei emendamenti, questa convergenza possa realizzarsi anche in aula.

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