mercoledì 4 novembre 2009

Immigrazione. Perché non serve gridare al «razzismo dilagante»



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

martedì 03 novembre 2009


Settecento milioni di persone adulte, soprattutto dall'Africa, sono pronte ad emigrare permanentemente per cercare un futuro migliore, malgrado la grave crisi economica mondiale. E' quanto emerge da uno studio Gallup, presentato lunedì ad Atene al Terzo Forum Globale per l'Emigrazione e lo Sviluppo (Gfmd). Secondo lo studio Gallup, la destinazione finale preferita dalla maggior parte di coloro che sono pronti, avendone la opportunità, ad abbandonare i propri paesi sono gli Stati Uniti, seguiti in Europa da Gran Bretagna, Spagna, Francia e Germania. Il Forum Globale ha l'obiettivo di favorire il dialogo tra paesi di origine dell'emigrazione e quelli di arrivo. La conferenza si svolge proprio in Europa dove, sottolinea l'Iamr (Assemblea Internazionale degli Emigranti e dei Rifugiati), «i lavoratori immigrati, e in particolare quelli clandestini, si confrontano con un incerto destino ed un ambiente sempre più ostile».

Ma perché l'ambiente diventa sempre più ostile? Spesso i rapporti stilati da queste organizzazioni internazionali non leggono con spirito obiettivo la realtà dei fatti e cioè non capiscono o non vogliono capire che non ci troviamo dinanzi ad una sorta di razzismo dilagante, ma davanti a qualcosa di molto più complesso. Innanzitutto c'è il problema del rapporto tra immigrazione clandestina e criminalità. Con riferimento al nostro paese, secondo l'International Migration Outlook - Ocse/Sopemi 2009, nel 2008 i cittadini stranieri denunciati sono stati 205.188 (29,7% del totale), mentre gli stranieri arrestati sono stati 97.432 (49,2% del totale); al 1° settembre 2009 i detenuti stranieri erano 23.696 (37% del totale). Si tratta di cifre notevolmente sproporzionate se consideriamo che la stragrande maggioranza degli stranieri che commettono reati sono clandestini.

Poi c'è il problema della concorrenza sleale nel mercato del lavoro. Sempre più spesso alcuni operatori economici usano, o sarebbe dire meglio sfruttano, la leva dell'immigrazione clandestina per risparmiare sul costo del lavoro ed essere maggiormente competitivi sul mercato mondiale o, più banalmente, per massimizzare i profitti. Già l'International Migration Outlook 2008, infatti, segnalava che praticamente in tutto il mondo gli immigrati guadagnano meno dei lavoratori nazionali, eccetto che in Australia.

Questi dati trovano una ulteriore conferma anche in studi su scala più ridotta, come ad esempio quello dell'associazione di assistenza socio-sanitaria milanese Naga, che ha analizzato i dati di oltre 47.500 suoi utenti dal 2000 al 2008: la percentuale dei clandestini occupati che risiedono in Italia da un anno è sotto il 40%, dopo due anni di permanenza la percentuale sale a circa il 65% e continua a salire al 76% dopo quattro anni. L'aspetto più sorprendente di questa evoluzione è la rapidità con cui essa avviene. Nei 9 anni presi in considerazione la condizione lavorativa dei clandestini è migliorata, passando dal 49,2% di occupati del 2000 al 61,6% del 2008. Il lavoro nel 2008 è stabile per il 52% del campione (contro il 47,5% nel 2000), saltuario per il 47%, ambulante per l'1%. Per area geografica, sono più stabili gli immigrati provenienti dall'Europa dell'est (67%), seguiti dai sudamericani e asiatici. Il tempo medio di permanenza in Italia è notevolmente aumentato, spiegano dal Naga: nel 2003 il 53% era in Italia da meno di un anno, mentre nel 2008 sono meno del 25%, contro un 30% che è qui da almeno quattro anni. In generale però «i migranti svolgono lavori non qualificati, mentre nel paese di origine molti erano impiegati in occupazioni con elevato livello di specializzazione». A confermarlo, in particolare, un dato: il 70% delle laureate lavorano come collaboratrici domestiche. Infine, in attesa di un'analisi che verrà presentata a gennaio, il rapporto indaga sulla situazione abitativa: quasi il 12% delle donne vive a casa del datore di lavoro, il 7% degli uomini e il 4% delle donne è senza fissa dimora o vive in insediamenti abusivi (specie per quanto riguarda subsahariani e est-europei) e l'88,6% vive in affitto, con un affollamento abitativo per stanza quasi triplo rispetto alla media milanese: 2,2 abitanti per locale contro lo 0,71 della media di Milano.

Insomma, se il clandestino viene percepito dagli autoctoni come una persona che in genere commette reati e determina un abbassamento del costo del lavoro a loro danno è chiaro che, indipendentemente dal fatto che egli possa essere una brava persona o meno, ci troveremo dinanzi ai presupposti per la costruzione di un ambiente ostile per questa gente. E allora la risposta a questo problema non può che essere articolata in una serie di azioni rivolte all'esterno (cooperazione allo sviluppo con i paesi di provenienza per diminuire il numero delle partenze; corsi di formazione professionale in loco; progetti per agevolare gli investimenti in quei territori, ecc...) e all'interno dei confini nazionali (razionalizzazione dei flussi in ingresso sulla base di vari parametri che non siano solo quelli legati al mondo del lavoro ma anche alle politiche scolastiche, a quelle abitative e al welfare state; rispetto delle regole per l'ingresso e la permanenza nel territorio nazionale; parità di trattamento tra lavoratori stranieri ed autoctoni; ecc...).

Non è utile, quindi, puntare il dito e gridare al razzismo dilagante senza indagare sulle cause che creano un ambiente ostile per gli immigrati nel paese ospitante. L'unica via possibile è quella di analizzare razionalmente i motivi di questa situazione ed i possibili rimedi nel breve e nel lungo periodo.

Nessun commento:

Google