mercoledì 23 gennaio 2008

Prodi e Damiano immobili su salari e produttività



di Antonio Maglietta - 22 gennaio 2008

Il «dossier Italia» è sotto la lente del Fondo Monetario Internazionale. Gli economisti di Washington esamineranno conti pubblici, rallentamento della crescita, aumento del potere di acquisto dei salari e riduzione della pressione fiscale nel nostro Paese, oltre alla vicenda Alitalia e a quella relativa alle banche popolari. Gli ispettori del Fmi da giovedì saranno a Roma per un fitto giro di colloqui, che durerà circa 10 giorni, con il governo, i rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione, ma anche con le istituzioni italiane economiche e creditizie. Al termine della visita consegneranno al ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, e al governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, il rapporto finale sulla situazione dell'Italia.

Sotto i riflettori della delegazione del Fmi, guidata da Alessandro Leipold, soprattutto i conti pubblici, con un occhio alle misure contenute nella Finanziaria 2008 approvata dal parlamento alla fine di dicembre. A preoccupare è, in primis, l'andamento della spesa pubblica, che ancora non mostrerebbe una decisa inversione di tendenza. D'altra parte - è il ragionamento degli ispettori - il livello della spesa corrente è stato decisamente più elevato rispetto agli obiettivi indicati dal governo. Fari puntati anche sulla crescita economica dell'Italia, che dovrebbe essere più bassa rispetto alle previsioni dell'esecutivo. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale, già ad ottobre, nel World Economic Outlook (rapporto che presenta analisi e previsioni riguardo all'andamento dell'economia globale, offrendo dettagli per aggregati di Paesi distinti per regione geografica o stadio di sviluppo economico), aveva rivisto al ribasso le stime del Pil a causa degli effetti legati alle turbolenze sui mercati internazionali e alle spinte inflazionistiche causate dall'impennata dei prezzi del petrolio. Per gli economisti di Washington le previsioni di crescita aggiornate per il 2008 dovrebbero collocarsi intorno all'1,3%, a fronte dell'1,5% fissato finora dal ministro Padoa-Schioppa, che potrebbe ridurlo all'1,2% nella trimestrale di cassa.

Ma l'attenzione del Fondo riguarda anche le misure che il governo intende adottare per aumentare il potere di acquisto dei salari. A cominciare da un possibile alleggerimento della pressione fiscale, che dovrebbe dare maggior respiro ai percettori di redditi medio-bassi. E su questo punto si concentrerà una parte del questionario che gli ispettori hanno preparato per il governo, i sindacati, ma anche per la Confindustria ed altre istituzioni.

E a proposito di salari: buste paga leggere per gli italiani. Nella classifica Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) dei trenta Paesi più industrializzati, ci superano non solo Stati Uniti, Giappone, Germania e Francia, ma anche Spagna, Grecia e Irlanda. Tra i Paesi europei, facciamo meglio solo del Portogallo. Sono questi gli ultimi dati forniti dall'organizzazione europea con sede a Parigi. Nella ricerca Ocse, i salari italiani si attestano su una media di circa 1.350 euro al mese o 16.242 euro l'anno, tredicesima compresa. La busta paga più pesante è quella dei coreani e dei britannici, rispettivamente primi e secondi in classifica, rispetto ai quali un italiano guadagna circa il 42% in meno. La differenza rispetto alla retribuzione media dei tedeschi è invece del 23,5%, mentre rispetto a quelle dei francesi è del 17,6%. L'Ocse prende in considerazione le retribuzione nette. Se, invece, si guarda alle retribuzioni lorde, in Italia queste risultano in crescita del 3,2%, in linea con il rialzo medio registrato nell'Ue a 15 Paesi pari al 3,3%. E' evidente che, se il lordo (salario netto + tasse) cresce come nella media europea mentre il netto (salario lordo - tasse) è inferiore rispetto alla stessa media continentale, il nodo centrale del problema è la crescita della tassazione sul lavoro. Sappiamo altresì che i salari italiani sono bassi anche per altri motivi, primo fra tutti la scarsa produttività. Secondo il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, occorre rivedere il modello contrattuale, passando dagli attuali bienni economici a una durata triennale e, inoltre, «va perseguita la strada già imboccata con l'accordo del 23 luglio sul welfare, per incentivare il salario aziendale o territoriale legato alla produttività».

Ma come si parla di produttività e si cita il Protocollo sul welfare? Ricordiamo che il documento, tradotto in legge tra mille polemiche interne al centrosinistra nel dicembre scorso (legge 24 dicembre 2007, n. 247), parla del rapporto tra salari e produttività in un solo comma dell'articolo unico (su ben 94): il comma 67. La citata disposizione - in parte condivisibile - dispone l'istituzione, nello stato di previsione del ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, di un Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, con dotazione finanziaria pari a 650 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008-2010. Peraltro lo sgravio contributivo, concesso alle imprese che ne faranno domanda a certe condizioni, è un provvedimento sperimentale e, quindi, non già strutturale, perché la sinistra radicale, da sempre contraria all'incentivazione della contrattazione di secondo livello, vede questa disposizione come il fumo negli occhi e mai l'avrebbe votata se fosse stata presentata come definitiva.

La verità è che, se si vuole parlare seriamente in Italia di collegamento tra gli andamenti salariali e la produttività, bisogna dire chiaramente che questa strada non può non prevedere un sistema retributivo che crei profondi differenziali salariali tra i lavoratori: in breve, chi lavora di più e meglio dovrà guadagnare molto di più rispetto agli altri. Ma sappiamo che la sinistra radicale e antagonista, fondamentale per la tenuta del governo Prodi, non vuole neanche sentir parlare di differenziali salariali. Ma allora, ministro Damiano, di che stiamo parlando?

Antonio Maglietta

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