sabato 15 dicembre 2007

Tutti scontenti di Prodi


di Antonio Maglietta - 15 dicembre 2007
Lancia un duro j'accuse contro l'Italia Carla Del Ponte, lasciando l'incarico di procuratore generale al Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia: l'Italia è colpevole di «non volersi occupare dei grandi latitanti» ed è diventata «delfino della candidatura della Serbia all'ingresso in Europa». Dalle colonne di Repubblica il magistrato, che dal 1999 ha fatto della caccia ai grandi criminali di guerra la sua missione, chiama in causa il premier Romano Prodi ed il ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Della posizione del ministro degli Esteri, non si dice stupita perchè «è sempre stato piuttosto filo-serbo», mentre si dichiara «esterrefatta» per il comportamento di Prodi. «Uno che - ricorda - è stato presidente della Commissione europea e conosce alla perfezione quanto sia importante l'aiuto dell'Ue per l'arresto dei grandi latitanti». «Mi ha addirittura evitata», racconta il giudice svizzero che ripercorre i tentativi falliti di parlare al telefono con il Presidente del Consiglio. «Per un anno ho cercato di incontrarlo, ma senza successo. A ottobre l'ultimo tentativo».Per il procuratore dell'Aja, Prodi non aveva neppure pochi minuti. «Era chiaro che non voleva occuparsi dei miei latitanti e si era già schierato con la Serbia».
Ma se in Europa Prodi riceve uno schiaffone sul versante della politica estera, ecco che dall'altra parte dell'oceano il prestigioso New York Times ne molla uno ancora più sonoro sullo stato di salute complessivo del Belpaese. L'Italia sembra non amarsi più scrive il NYT. La parola d'ordine è "malessere" e gli italiani, nonostante abbiano inventato l'arte di vivere, in un recente sondaggio affermano di essere il popolo meno felice dell'Europa occidentale. L'Italia ha tracciato il proprio modo di appartenere all'Europa, lottando come pochi altri paesi con una politica frammentata, la mancanza di crescita, la criminalità organizzata e un debole senso dello Stato. Ora la frustrazione sta crescendo perchè queste vecchie debolezze non migliorano, mentre il mondo sorpassa il paese. Il modo di vivere poco tecnologico degli italiani può essere interessante per i turisti, ma l'utilizzo di Internet è tra i più bassi in Europa, così come gli investimenti esteri e la crescita. Le pensioni, il debito pubblico e i costi del governo, invece, sono tra i più elevati del vecchio continente. Le ultime analisi mostrano una nazione più vecchia e più povera e quelli che erano i punti di forza stanno diventando una debolezza. Il piccolo commercio, le aziende a conduzione familiare si trovano a combattere contro la globalizzazione e in particolare con la competitività della Cina. I debiti colpiscono le famiglie: il 70% degli italiani tra i 20 e i 30 anni vivono ancora a casa condannando i giovani a un'adolescenza estesa e improduttiva. La maggioranza dei più bravi lascia il paese.
Ma se dall'estero arrivano solo bocciature, la situazione vista dall'interno non è migliore. Tutte le categorie professionali sono sul piede di guerra, gli scioperi si susseguono ad un ritmo impressionante nonostante che i sindacati confederali abbiano sacrificato il loro animo belligerante alla logica sempre più evidente del «governo amico». Neanche sugli incrementi salariali degli statali e la sanatoria dei precari del pubblico impiego, asse portante della commistione di interessi governo-sindacati, Prodi è riuscito a dare seguito alle promesse fatte: i primi restano solo un miraggio; la sanatoria, invece, è un grande bluff perché non ci sono i soldi per finanziarla a livello centrale. Si respira un'aria di sconforto e rassegnazione soprattutto nelle giovani generazioni che non riescono a vedere la luce alla fine del tunnel. Neanche il criterio del merito, unico appiglio per emergere al di fuori delle clientele, così profondamente mortificato dalle scelte di questo governo, sembra essere la strada giusta per emergere nella società italiana. Gli esempi sono tanti: penalizzazione dei giovani vincitori di concorso nella pubblica amministrazione che continuano ad essere assunti con il contagocce e, peggio ancora, scavalcati dalle progressioni interne del personale di ruolo, il tutto con l'avallo dei sindacati confederali; tagli al settore della ricerca che penalizzano i progetti dei giovani ricercatori a discapito dei «baroni universitari»; sistema ingessato nelle libere professioni che reprime ambizioni e sogni dei giovani professionisti; e si potrebbe continuare all'infinito. Insomma, sia all'estero che in Italia sono tutti scontenti di Prodi. Qualcuno dice che siamo alla frutta: speriamo, però, che almeno non ci vada di traverso.

Antonio Maglietta

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