sabato 29 settembre 2007

Venite, immigrati



di Antonio Maglietta - 29 settembre 2007

Mercoledì scorso, alla Commissione Affari costituzionali della Camera, è stato illustrato il contenuto della delega al governo per la modifica della disciplina dell'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero. Ecco alcuni dei passi salienti della relazione: «Si prevede la figura dello sponsor con la possibilità di offrire ulteriori garanzie a coloro che entrano in Italia per la ricerca di lavoro. È semplificata la richiesta di visto di ingresso con l'obbligo di motivazione in caso di rifiuto. L'abolizione del contratto di soggiorno è un chiaro segnale della precisa volontà tesa a voltare finalmente pagina riguardo l'ormai superato binomio soggiorno-lavoro». E' chiara e palese la volontà di minare alla base il concetto stesso di immigrazione economica. Essa è, attualmente, l'unica possibile politica in materia di immigrazione; infatti, delineando un'inscindibile rapporto tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, crea un canale controllato che permette di gestire realisticamente i flussi migratori, tenendo conto in maniera bilanciata dei vari interessi in campo, ivi compreso il rispetto dei diritti fondamentali nei riguardi degli immigrati.
E ancora: «È semplificata la procedura di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno per la quale si prevede anche il coinvolgimento degli Enti locali». Proprio da questi ultimi (attraverso il presidente dell'Anci, il diessino Domenici, e da quello dell'Upi, il diellino Melilli), in sede di Conferenza unificata, sono emerse forti preoccupazioni in relazione alle diverse competenze aggiuntive per le amministrazioni locali, a partire dal sostegno alle politiche abitative, all'integrazione scolastica e sociale, ai servizi di orientamento lavorativo, che necessiterebbero, a loro avviso, di un potenziamento e di un incremento di risorse. I Comuni sottolineano come, a fronte di nuove competenze, le risorse non siano state parimenti trasferite.
Continua la relazione: «Un altro aspetto rilevante della riforma è la modifica della durata dei documenti. Il primo permesso avrà una durata di un anno per chi ha un lavoro sino a sei mesi, due anni per tutti gli altri contratti a termine, tre anni per gli autonomi e i lavoratori a tempo indeterminato. Il rinnovo avrà validità doppia rispetto al permesso iniziale. Chi entra in Italia per meno di novanta giorni non dovrà più chiedere alcun permesso, basterà la sola dichiarazione di presenza. Viene riportata ad un anno, rispetto all'originario termine di sei mesi, la durata del permesso per chi perde il lavoro con la possibilità di rinnovo qualora lo straniero possa dimostrare di avere i mezzi per mantenersi». Insomma, coerentemente con la rottura del rapporto contratto di lavoro-permesso di soggiorno, si prevede una dilazione dei periodi di permanenza in Italia per gli immigrati senza impiego, con il rischio di creare una sorta di buco nero in cui non sarebbe chiaro a quale titolo, con quali motivi e con quali garanzie lo straniero rimarebbe sul nostro territorio.
Prosegue ancora la relazione: «Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, già definita Carta di soggiorno, apre le porte all'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative. Lo sforzo di allargare l'accoglienza non riguarda però solo i diritti civili, ma si estende anche ai diritti sociali: chi soggiorna regolarmente da almeno un anno avrà accesso alle misure assistenziali e alla pensione di invalidità. Molto importante è l'aver riconosciuto le stesse prerogative che hanno gli italiani di pari età ai giovani stranieri maggiorenni ancora a carico dei genitori, garantendo loro un permesso per motivi familiari senza esporli necessariamente alla ricerca di un lavoro finalizzato esclusivamente all'ottenimento di un titolo di soggiorno». La relazione parla solo di diritti. E doveri? Responsabilizzare l'immigrato con una serie di doveri ben precisi e codificati servirebbe a rendere meno difficoltosa l'integrazione nel tessuto sociale del Paese ospitante e, soprattutto, a scoraggiare alla fonte chi viene in Italia solo per delinquere pensando di avere una altissima probabilità di farla franca. Se al contrario, invece, si dà l'idea di un Paese che, al di là dei comportamenti criminali o rispettosi delle leggi, è sempre clemente, allora non si fa altro che incentivare l'immigrazione criminale, con il rischio di trasformare il nostro territorio nell'Eden della malavita.
Si legge poi nel testo in questione: «Nascerà un Fondo nazionale rimpatri teso al rientro assistito nei luoghi di origine per coloro che hanno subito un decreto di espulsione, ma anche per chi intenda ritornare nel proprio Paese e non è in possesso dei mezzi per farlo. Il Fondo si avvarrà della contribuzione degli stessi datori di lavoro, di enti o associazioni, di cittadini che garantiscono l'ingresso degli stranieri e degli stranieri medesimi. L'introduzione del Fondo nazionale rimpatri, unitamente ad una politica di incentivazione al rimpatrio spontaneo, dimostra una ragionata volontà di un approccio concertativo tra Stato, associazioni datoriali e sindacali e stranieri interessati».
A tal proposito, vale la pena riportare un passaggio del «Rapporto sulla criminalità in Italia. Analisi, Prevenzione, Contrasto», presentato, nel corso di una conferenza stampa, dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato, il 20 giugno scorso: «In Italia operano da diversi anni anche aggregazioni criminali costituite da cittadini stranieri, le cosiddette "nuove mafie", che presentano caratteristiche proprie a seconda dell'etnia di cui sono espressione. Tali gruppi interagiscono non solo con le organizzazioni di riferimento nei Paesi d'origine, ma anche con i sodalizi criminali dei Paesi di transito e di destinazione dei traffici illeciti internazionali a cui si dedicano. A tal ultimo riguardo, ferma restando l'assoluta centralità del narcotraffico, annoverabile tra gli interessi più remunerativi e tra gli strumenti più efficaci di coesione tra i vari clan coinvolti, e non tralasciando la valenza del contrabbando, del commercio di armi e del conseguente riciclaggio di danaro "sporco", il volano finanziario delle organizzazioni criminali a base etnica appare costituito oggi dal traffico di immigrati clandestini e dalla connessa tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo».
E' lo stesso Viminale, quindi, che segnala come la tratta degli esseri umani sia una delle più grosse forme di finanziamento per la criminalità organizzata straniera ed individua nel riciclaggio del denaro «sporco» una tra le fonti privilegiate di reddito. Il rischio è che il suddetto Fondo, senza la previsione di adeguati strumenti di controllo (che comunque appesantirebbero fortemente le procedure di rimpatrio, facendo venir meno la ratio stessa della norma tesa a snellire l'iter de quo), si trasformi in uno strumento per il riciclaggio del denaro «sporco» da parte di organizzazioni criminali italiane e, soprattutto, straniere, visto che proprio queste ultime gestiscono già la tratta degli esseri umani verso il nostro Paese, e potrebbero vedere il Fondo come una ghiotta occasione per unire due business criminali in uno.
In conclusione, il progetto governativo che dovrebbe modificare la legge Bossi-Fini fa acqua da tutte le parti e, qualunque sia l'angolo di lettura critico, la bocciatura senza appello sembra oggettivamente inevitabile.

Antonio Maglietta

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