giovedì 27 settembre 2007

L'impossibile melting pot italiano


di Antonio Maglietta - 27 settembre 2007

Un governo senza un briciolo di consenso nel Paese, con forti contrasti ideologici e di potere all'interno della stessa coalizione che lo sostiene, sta cercando di snaturare le radici del nostro popolo, aprendo le porte a tutti gli stranieri e, non contento, con la previsione di concedergli dopo soli 5 anni la possibilità di acquistare addirittura la cittadinanza. E' oramai noto che il progetto di legge governativo in materia di immigrazione mira a modificare la legge Bossi-Fini e a rompere lo stretto legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro (in pratica se la proposta diventerà legge, l'immigrato potrà soggiornare in Italia per un dato periodo, al di fuori dei casi c.d. turistici, pur non avendo un contratto di lavoro). Quello in materia di cittadinanza, invece, dimezza i tempi per l'acquisto della stessa da parte degli stranieri che vivono in Italia, portandoli, dagli attuali 10, a soli 5 anni. Perché? Il sospetto che lo faccia per assicurarsi un bel bottino di voti in vista delle future sfide elettorali è forte. Forse qualcuno a sinistra pensa che essere di manica larga con gli stranieri che vengono in Italia si tradurrà in voti, quando gli stessi avranno la possibilità di andare alle urne.
Ideologicamente l'operazione è già coperta, visto che la sinistra, non solo italiana, ha fatto della società multietnica e del melting pot uno dei suoi cavalli di battaglia. Vale la pena di ricordare che il termine melting pot significa letteralmente «pentola di fusione» ed è usato nel linguaggio comune, oltre che nella storiografia americana, per indicare quel processo di mescolanza tra razze e culture diverse che dovrebbe far nascere un homo novus che non deve rifarsi ai modelli esistenti, ma affermarsi come esponente di una società che da ogni tipo umano prende alcune caratteristiche per fonderle in qualcosa di nuovo.
L'idea moderna della mescolanza tra popoli diversi nasce con l'opera «Lettere da un agricoltore americano» di Michel Guillaume Jean de Crèvecoeur, nato in Francia e trasferitosi prima in Canada e poi a New York dove acquistò la cittadinanza americana: «da dove è venuta tutta questa gente? È una miscela di inglesi, di scozzesi, di irlandesi, di francesi, di olandesi, di tedeschi e svedesi... Che cos'è, allora, l'americano, questo nuovo uomo? Non è né un europeo né il discendente di un europeo; è una miscela sconosciuta di anime che non troverete in nessun altro Paese. Potrei dirvi che è un uomo con una famiglia in cui il nonno è un inglese e la moglie una olandese, il cui figlio ha sposato una donna francese e i loro quattro figli ora hanno quattro mogli di nazioni differenti. È un americano che, lasciati tutti i suoi pregiudizi e le vecchie tradizioni, riceve i nuovi dal nuovo modello di vita che ha abbracciato, obbedisce ad un nuovo governo (...). Una volta gli Americani erano sparsi dappertutto in Europa; qui sono incorporati in uno dei migliori sistemi di popolazione che sia mai comparso». ( - traduzione - tratto da Michel Guillaume Jean de Crèvecoeur, «Letters from american farmer», London, 1782).
Il termine invece trae origine dal titolo di un'opera teatrale «The Melting Pot» scritta da Israel Zangwill, ebreo inglese emigrato negli Stati Uniti (I. Zangwill, The Melting-Pot: A Drama in Four Acts, Macmillan, New York, 1909). Il protagonista dell'opera è un giovane immigrato ebreo di nome David, fermamente convinto che, giunto in America, l'immigrato debba rinunciare al suo passato. La sua famiglia è stata massacrata in un pogrom antisemita (pogrom è un termine storico di derivazione russa con cui si indicano, in generale, le azioni violente contro la proprietà e la vita di appartenenti a minoranze politiche, etniche o religiose in Russia) ed egli, che è un musicista, sta componendo una sinfonia che dovrà esprimere musicalmente l'idea di un'armoniosa convivenza tra immigrati provenienti da nazioni differenti e celebrare, in tal senso, la sua patria adottiva come esempio di luogo ideale per la convivenza tra diversi. Il giovane musicista ebreo s'innamora di Vera, anche lei giovane immigrata di origine russa ma di religione cattolica. La diversità religiosa non costituisce un ostacolo al loro amore fino a quando David non scopre che il padre di Vera è stato responsabile dello sterminio della sua famiglia. Saputa la notizia, dapprima tronca la storia d'amore, poi, invece, decide di ritornare sui suoi passi. L'opera termina con David e Vera che inneggiano alla mescolanza razziale mirando in lontananza la statua della libertà illuminata dal sole al tramonto.
Sullo sfondo del termine melting pot, in entrambi i casi, appare l'american dream e la società americana che, in quel contesto, aveva bisogno di ricevere una risposta ad un qualcosa di nuovo. Il nuovo era un «nuovo mondo» in cui i nativi, gli indiani d'America, erano stati sopraffatti e sconfitti con le armi, e i nuovi arrivati, tutti di nazioni differenti ma comunque europei e, quindi, sostanzialmente accomunati dal comune sentire religioso giudaico-cristiano, si trovavano di fronte alla necessità di creare una nuova struttura sociale per rispondere alle loro stesse esigenze di convivenza. Solo un modello di società «di nuovo conio», in grado di eliminare, almeno formalmente, le precedenti identità nazionali, poteva inglobare persone provenienti da nazioni differenti e costruire le basi per una convivenza pacifica e civile proiettata nel futuro. Insomma si creava un nuovo modello sociale partendo dall'anno zero della storia americana, così come potrebbe fare, metaforicamente, un gruppo di naufraghi su un'isola deserta.
L'Italia, ma il discorso potrebbe benissimo allargarsi a tutte le nazioni del Vecchio Continente, ha le caratteristiche storiche e culturali del «nuovo mondo»? E le caratteristiche dei «conviventi» (nel nostro caso: cittadini ed immigrati) sono le stesse di quelle degli «americani» descritti da Michel Guillaume Jean de Crèvecoeur e Israel Zangwill? Inutile dire che la risposta non può che essere negativa, e che il melting pot, nato per esigenze specifiche dell'american dream, non può certo essere un modello di società esportabile nel Vecchio Continente, ricco di innumerevoli sedimentazioni storiche, culturali e religiose. La diversità, quando non genera scontro, è una ricchezza da esaltare e spesso la sinistra, accecata dal totem dell'egualitarismo, lo dimentica volentieri, quando percorre vie utopistiche dettate dall'ideologia fine a se stessa e non dalla ragione e dalla realtà dei fatti. Purtroppo siamo alle solite. Ogni volta, i governanti di sinistra, invece che in Italia, pensano di vivere nell'isola-regno, abitata da una società ideale, descritta nel 1516 da Tommaso Moro nell'opera «De optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia».

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