venerdì 14 settembre 2007

Immigrazione clandestina e criminalità


di Antonio Maglietta - 13 settembre 2007


Le cronache quotidiane registrano da tempo un crescendo di episodi che gli esperti definiscono di «micro-criminalità». Il senso di legalità all'interno delle nostre città, dalle più piccole alle più grandi, sembra soccombere sotto i colpi della questua molesta; davanti alla fila di macchine che costeggiano i marciapiedi pieni di lucciole; dinanzi all'impotenza di chi è costretto a vivere da recluso nella propria abitazione o ad essere molestato nella propria quiete a causa di spacciatori, tossicodipendenti ed ubriachi che spadroneggiano di fronte ai portoni delle case, soprattutto nelle ore notturne; dinanzi alle aggressioni di sbandati che picchiano a sangue anche per racimolare pochi euro dai vari malcapitati. Nessuno può negare che i cittadini italiani si sentano oramai assediati e chiedano per questo più sicurezza allo Stato.
Se prima si parlava di «emergenze», ora invece, con un pizzico di rassegnazione, si parla di «quotidianità». La raccapricciante regolarità giornaliera con cui vengono commessi i cosiddetti «piccoli reati» sembra quasi aver assopito la capacità di reazione dello Stato centrale. Le forze di polizia fanno quello che possono e spesso non sono neanche supportate dalle leggi, tanto garantiste con i Caino quanto incapaci di tutelare la sicurezza e la tranquillità degli Abele. Gli amministratori locali, in primis i sindaci, stanno cercando di frenare la deriva illegale con i pochi mezzi a loro disposizione. E' un segno dei tempi: nell'Italia retta da Romano Prodi ognuno si arrangia come può. Non è casuale che siano stati proprio i sindaci i primi a sollevare la questione «sicurezza» e a muoversi di conseguenza. Infatti, proprio questa figura istituzionale è l'articolazione dello Stato più vicina ai cittadini, e sono loro - i sindaci - le prime sentinelle degli umori e delle aspettative della gente. Non è un caso che il sindaco di Milano abbia promosso una campagna per la regolamentazione del commercio nella chinatown milanese, che il primo cittadino di Firenze abbia emanato un'ordinanza contro i lavavetri, e che, in molte zone del Paese, si stiano moltiplicando gli interventi dei sindaci per contrastare quella che, da semplice fenomeno di micro-criminalità, sembra essere degenerata in illegalità diffusa. Spesso a soffrire di più sono quegli onesti cittadini che affollano le periferie delle nostre città. Si tira a campare pur se lo stipendio non permette di arrivare a fine mese e la convivenza «forzata» con spacciatori, tossicodipendenti, sbandati e criminali di vario genere non permette di vivere tranquilli neanche tra le quattro mura di casa (spesso neppure di proprietà). Per loro c'è la doppia beffa: senza soldi e senza sicurezza.
Che cosa dicono i dati ufficiali sui cosiddetti «piccoli reati»? Si legge nel Rapporto sulla criminalità in Italia presentato dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato, il 20 giugno scorso: «Negli ultimi vent'anni è cresciuto sensibilmente il contributo fornito dagli stranieri di alcune nazionalità alla diffusione di alcuni reati, in particolare i reati contro la proprietà - ovvero i furti e le rapine - i reati violenti, i reati connessi ai mercati illeciti della droga e della prostituzione. Tale contributo appare sproporzionato per eccesso rispetto alla quota di stranieri residenti nel nostro Paese, anche se si tiene conto della presenza di stranieri non documentata». E ancora: «Il trend degli stranieri denunciati per reati inerenti agli stupefacenti, anche in conseguenza dei crescenti flussi migratori clandestini verso l'Italia, è stato tendenzialmente in crescita, con l'effetto di determinare, con il passare degli anni, un consolidamento territoriale da parte di organizzazioni criminali straniere implicate nel narcotraffico, spesso in collaborazione con le organizzazioni italiane. Al riguardo, i dati sul numero di persone coinvolte distinte tra italiani e stranieri evidenziano che mentre nel decennio 1987-1996 le percentuali degli italiani erano nettamente superiori (82,7%) a quelle degli stranieri (17,3%), nel decennio 1997-2006, pur rimanendo il medesimo rapporto, la percentuale di italiani è diminuita (70,8%) ed è aumentata quella degli stranieri (29,2%)».
«L'incidenza degli stranieri - si legge ancora - tra i denunciati, però, varia molto a seconda dei reati. Si va da incidenze basse, come il 3% per le rapine in banca o il 6% per quelle negli uffici postali, al poco meno del 70% che caratterizza i borseggi, ovvero quelli che la classificazione riportata definisce "furti con destrezza". Tra questi due estremi, gli stranieri costituiscono il 51% dei denunciati per rapina in abitazione o furto in abitazione, il 45% dei denunciati per rapina in pubblica via, il 19% per le estorsioni e il 29% per le truffe e le frodi informatiche. Intorno ad un terzo dei denunciati troviamo gran parte dei reati violenti. La quota di stranieri qui va dal 39% dei denunciati per violenze sessuali al 36% per gli omicidi consumati e al 31% per quelli tentati, al 27% dei denunciati per il reato di lesioni dolose. Simili sono poi le percentuali di stranieri sul totale degli arrestati per alcuni reati predatori strumentali, come i furti di autovetture (38%) e gli scippi (29%). E' importante sottolineare che la netta maggioranza di questi reati viene commessa da stranieri irregolari, mentre quelli regolari hanno una delittuosità non molto dissimile dalla popolazione italiana».
Prosegue il Rapporto: «La maggior parte degli irregolari in Italia è costituita da stranieri entrati regolarmente e rimasti sul territorio oltre la scadenza prevista dal visto, ovvero dai cosiddetti "overstayers": nel 2006 gli overstayers sono stati il 64% del totale degli irregolari, contro il 23% di coloro che hanno varcato fraudolentemente le frontiere e il 13% dei clandestini sbarcati sulle coste... Consideriamo ora le singole nazionalità di chi commette reati. (...)In 11 dei 13 reati presi in considerazione le prime tre nazionalità sono ricorrenti: Romania, Marocco e Albania. E in molti casi queste prime tre nazionalità contribuiscono a oltre la metà dei denunciati per quel tipo di reato: siamo al 52% dei furti di autovetture, al 50% dei furti in abitazione, al 51% dei furti con destrezza. C'è quindi un'elevata concentrazione».
Infine, alcune considerazioni territoriali: «È noto che, dal punto di vista dei reati, il nostro Paese è da tempo marcato dalla differenza tra Italia centro-settentrionale da un lato e sud ed isole dall'altro. Questa differenza vale anche per i reati commessi dagli immigrati. Con la sola eccezione del contrabbando, infatti, nelle regioni centro-settentrionali la quota di stranieri sul totale dei denunciati è stata da sempre di gran lunga superiore a quella registrata nelle regioni del Mezzogiorno. E, soprattutto, è cresciuta più velocemente».
Insomma, sembra chiara la stretta relazione di causa-effetto tra immigrazione clandestina e micro-criminalità; sarebbe quindi opportuno un ulteriore giro di vite in materia di immigrazione, magari mirata a ridurre il buco nero del visto d'ingresso che, oggi, sembra essere la porta privilegiata per la clandestinità. Il governo ha fatto sapere che, entro tre settimane, sarà pronto un pacchetto sicurezza ad hoc per contrastare la deriva illegale. Le iniziative annunciate sono tante, ma nessuna riguarda il contrasto del fenomeno dell'immigrazione clandestina. Anzi, le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, fanno intendere che la volontà dell'esecutivo sia quella di voler modificare la legge Bossi-Fini, rompendo lo stretto legame permesso di soggiorno-contratto di lavoro ed introducendo una serie di sponsor che dovranno fare da garanti per l'immigrato, senza contratto di lavoro, che decide di venire a vivere nel nostro Paese. Nessuna parola invece sul visto d'ingresso. In compenso, nel centrosinistra è già montata una nuova polemica interna, tra massimalisti e riformisti, sull'opportunità di varare un pacchetto sicurezza che preveda sanzioni per lavavetri, mendicanti e lucciole. Si preferisce perdere tempo in dispute ideologiche anziché rispondere alle richieste dei cittadini. E' la loro «cultura del fare»: fare polemiche inutili.

Antonio Maglietta

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