domenica 10 gennaio 2010

Emergenza immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

venerdì 08 gennaio 2010


Centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull'asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate. Scene di guerriglia urbana a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, per la rivolta di alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un'altra struttura abbandonata. A fare scoppiare la protesta è stato il ferimento, da parte di persone non identificate, di alcuni extracomunitari con un'arma ad aria compressa.

Tra Rosarno, l'ex fabbrica in disuso, e Gioia Tauro in un immobile dell'ex Opera Sila sono circa 1.500 gli extracomunitari che lavorano come manodopera nell'agricoltura. Gli immigrati regolari in Calabria sono circa 45 mila, ma si stima che altri 8 mila vivano e lavorino nella regione in modo clandestino. I dati sono quelli del 6° rapporto sull'economia sommersa in Calabria (che sarà pubblicato fra una decina di giorni), dove si sottolinea che il 53% dei lavoratori irregolari nella regione (170 mila nel complesso) opera nel settore agricolo; di questi, il 40% circa riguarda gli immigrati, sia regolari che clandestini. Fra l'altro, in generale, in Calabria il lavoro in nero coinvolge un occupato su cinque, per un totale di 170.200 lavoratori. Un dato che determina alle casse dello Stato la perdita di 2 miliardi di euro all'anno.

La Calabria è terra di emigrazione vecchia e nuova. Molti dei cittadini italiani nati in quella regione conoscono il problema di chi deve lasciare la propria terra in cerca di un futuro migliore. Tuttavia non si può chiedere a questa gente di non avere paura quando, come nel caso di specie, scoppiano situazioni di violenza generati da alcuni immigrati. Il cittadino di Rosarno, oggi lui e domani magari qualche altro, non si tranquillizza nel sapere che quegli episodi sono frutti dell'esasperazione. Non si può, quindi, chiedere alla persone di non avere paura ma bisogna parlargli, rassicurargli che qualcosa sarà fatto, dare seguito alle promesse e chiedere a quelle stesse persone di partecipare ad un progetto di legalità. In caso contrario la violenza genererà altra violenza in una spirale pericolosa e difficilmente inarrestabile.

A seguito dei fatti di Rosarno, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha convocato venerdì mattina una riunione al Viminale. Al termine dell'incontro è stato deciso di costituire con effetto immediato presso la Prefettura di Reggio Calabria una task-force composta dal Ministero dell'Interno, quello del Lavoro e la Regione Calabria, per affrontare la questione non solo dal punto di vista dell'ordine pubblico, ma anche per quanto riguarda gli aspetti legati allo sfruttamento del lavoro nero e all'assistenza sanitaria.

Bene ma non basta. Ed è proprio questo il punto. Se si vuole tornare alla legalità, non solo a Rosarno, bisognerà condurre una decisa azione a 360 gradi. I soggetti promotori di questa azione non possono essere solo le articolazioni dello Stato (ministeri, amministrazioni locali, forze dell'ordine). E' indispensabile anche l'apporto delle associazioni di categoria (in primis quelle rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori) e degli stessi cittadini ed immigrati. Tutti possono e devono fare la propria parte perché l'unica via d'uscita, ma allo stesso tempo la sola forma di prevenzione, è la collaborazione tra tutti questi soggetti, la cui azione dovrà necessariamente avere come stella polare la legalità. In caso contrario, quello di Rosarno, purtroppo, rischia di non essere un caso isolato. Lì, come altrove, c'è stata una pericolosa sommatoria di fattori di illegalità: immigrazione clandestina, lavoro nero, sfruttamento. In quelle zone c'è poi anche un problema specifico: il rapporto tra clandestinità, lavoro nero in agricoltura e organizzazioni criminali. Non si può non riconoscere che la concomitanza di questi elementi rappresenti una inequivocabile miscela esplosiva pronta a deflagrare.

A Rosarno, come altrove nel nostro paese, ognuno ha le sue responsabilità: l'immigrato che non rispetta la legge italiana in materia di ingresso e permanenza nel nostro paese; l'immigrato che, magari esasperato dallo stato di degrado in cui vive, ad un certo punto coglie un pretesto per scaricare la sua rabbia in atti di violenza; l'immigrato venuto nel nostro paese solo per delinquere; l'italiano che sfrutta il lavoro nero dei clandestini; l'italiano che sfrutta i clandestini dandogli un alloggio in nero e pagato a peso d'oro, spesso in condizioni igienico-sanitarie precarie; le organizzazioni criminali che magari lucrano sul traffico dei clandestini e sul loro lavoro nero nel nostro paese. Chi paga il costo sociale di tutto questo? Tutti gli altri: italiani che non hanno a che fare con queste forme intollerabili di sfruttamento e gli immigrati regolari che lavorano tranquillamente e non delinquono.

1 commento:

Luciano ha detto...

Così per curiosità: non si è accorto che per la maggior parte (parole di Maroni) gli schiavi (stranieri) che si sono ribellati contro i criminali (italiani) che hanno sparato contro di loro sono immigrati regolari?

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