venerdì 15 gennaio 2010

Agricoltura e lavoro irregolare



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 14 gennaio 2010

I fatti di Rosarno, che tra le altre cose hanno accesso per l'ennesima volta le luci dei media sullo sfruttamento di alcuni lavoratori stranieri nelle campagne italiane, hanno riportato alla ribalta il tema del lavoro irregolare in agricoltura. Martedì scorso il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maurizio Sacconi ha riunito i Presidenti degli Enti previdenziali (Inps e Inail), i Direttori generali dei Servizi ispettivi e della Tutela delle condizioni di lavoro del Ministero, il Comandante del Nucleo Carabinieri Tutela del lavoro per intensificare una specifica, coordinata e capillare attività di contrasto dei fenomeni di illegalità e di sfruttamento del lavoro irregolare in agricoltura. Nel corso della riunione il Ministro ha sottolineato, tra l'altro, come anche l'introduzione del voucher - buono lavoro - rappresenti un efficace strumento di regolarizzazione e di emersione proprio per tutti quegli spezzoni lavorativi tipici delle attività di raccolta breve in agricoltura. E che, dunque, anche alla luce di questa significativa novità, ampiamente utilizzata nelle Regioni del Nord e di fatto non impiegata in quelle del Sud, non vi possano essere più alibi per i datori di lavoro. Gli stessi flussi di lavoro stagionale sono regolati da quote non del tutto utilizzate per cui l'impiego di lavoratori clandestini non trova giustificazione alcuna.

Secondo il rapporto Inea del 2009, nel periodo 1989-2007, c'è stato un incremento di più del 700% dei cittadini extracomunitari utilizzati nell'agricoltura nazionale, passati dalle 23.000 persone del 1989 alle circa 172.000 del 2007. Un rapporto del 2008 di Medici Senza Frontiere, dall'emblematico titolo «Una stagione all'inferno», aveva lanciato un preoccupante allarme sul drammatico sfruttamento degli immigrati nell'agricoltura italiana, segnalando paghe da fame e orari massacranti per tutti e lavoro in nero per la gran parte. Msf aveva intervistato da luglio a novembre del 2007 circa 600 immigrati (il 72% senza regolare permesso di soggiorno) impegnati nella raccolta di prodotti agricoli come pomodori, kiwi, uva, meloni, agrumi. Furono otto i centri sottoposti all'indagine (Piana del Sele; provincia di Latina e di Foggia; Metaponto; Valle del Belice; Palazzo San Gervasio; Piana di Gioia Tauro) e questi furono i principali risultati: il 90% del campione non possedeva alcun contratto di lavoro; ogni giorno (in media il lavoro era per meno di 4 giorni la settimana) l'orario era di 8/10 ore; la metà degli intervistati guadagnava tra i 26 e i 40 euro, mentre poco più di un terzo 25 euro o meno; il 37% dichiarava che dalla paga giornaliera venivano sottratti dai 3 ai 5 euro per i caporali.

Secondo l'Istat («La misura dell'economia sommersa secondo le statistiche ufficiali. Anni 2000-2006») nel 2006, nell'ipotesi massima, il valore aggiunto sommerso nel settore agricolo è stato pari al 31,4% del valore aggiunto totale della branca (8.538 milioni di euro), nel settore industriale il 10,4% (42.022 milioni di euro) e nel terziario il 20,9% (199.414 milioni di euro). Come vediamo è proprio l'agricoltura ad avere il triste primato del settore in cui l'economia sommersa incide di più. Nel 2007, sempre secondo l'Istat («Noi Italia, 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo, edizione 2010»), il settore agricolo aveva anche la percentuale d'incidenza più alta del lavoro irregolare sul totale delle unità lavorative (24,2% in agricoltura, 3,8% nell'industria in senso stretto, 9,8% nelle costruzioni e 13,4% nei servizi). Il Mezzogiorno era in cima alla classifica con il 25,3% (Centro 23,1%, Nord-Est 22,9% e Nord-Ovet 23,4% ), mentre su base regionale il primato spettava alla Calabria (27,3%).

Insomma, in agricoltura, soprattutto negli ultimi anni, c'è stato un ricorso massiccio allo sfruttamento della manodopera straniera; nel settore, inoltre, un lavoratore su quattro in media è irregolare ed il valore aggiunto del sommerso è quasi 1/3 del totale della branca. Inoltre, già due anni fa, la Coldiretti aveva denunciato che racket, pizzo e altri fenomeni malavitosi comportavano danni alle campagne italiane per 7,5 miliardi di euro (10 miliardi secondo la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori) e spingevano in alto i prezzi degli alimenti; la stessa associazione di categoria aveva anche affermato che «la criminalità, sia italiana che straniera, controlla in modo pesante la manodopera, specie in nero, offerta soprattutto da immigrati, con rilevanti ripercussioni sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e della salute, della violazione delle norme sull'immigrazione, dell'evasione contributiva, con riflessi anche dal punto di vista della concorrenza sleale che ne deriva nei confronti delle imprese che rispettano le leggi».

Tutti questi dati ci dicono che lo stato di salute della nostra agricoltura non è certo dei migliori. L'intervento dello Stato non può che essere salutato in maniera positiva ma è pur vero che anche gli operatori del settore dovranno fare la loro parte. Se c'è un lavoratore irregolare vuol dire che, almeno in quel caso di specie, non c'è stata un'azione di controllo da parte delle istituzioni ma anche che c'è almeno un datore di lavoro che non ha rispettato la legge e che nessuna associazione a tutela dei lavoratori si è accorta o ha segnalato alle autorità competenti quel problema (e sarebbe grave se l'avesse fatto senza ricevere alcuna risposta).

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