lunedì 23 luglio 2007

L'assenteismo nel pubblico impiego


di Antonio Maglietta - 21 luglio 2007


Purtroppo la cronaca quotidiana è impietosa e nell'ambito del dibattito politico sul futuro e le prospettive di riforma del pubblico impiego nostrano si è abbattuto, come un macigno, l'eco dell'inchiesta giudiziaria della magistratura umbra che ha portato all'arresto, da parte dei carabinieri del Nas, di 12 dipendenti dell'ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. I reati contestati sono falso in atto pubblico e truffa aggravata e, secondo quanto si legge in una nota della procura di Perugia, gli arrestati si sarebbero allontanati dal luogo di lavoro mediante l'illecito utilizzo del badge marcatempo che sarebbe stato timbrato da terzi ed avrebbero svolto, inoltre, attività lavorative parallele in strutture private in orario di servizio. Il caso potrebbe essere tranquillamente archiviato come semplice malcostume circostanziato se non fosse per alcuni numeri ed alcune considerazioni.
Innanzitutto bisogna premettere che il calcolo del tasso di assenteismo è espresso come percentuale tra le ore di assenza per malattia e quelle lavorabili in un anno. Secondo il professor Pietro Ichino, ordinario di diritto del lavoro all'università statale di Milano, il tasso di assenza per malattia di un lavoratore autonomo è tra l'1 e l'1,5%; tra i lavori dipendenti di un'azienda privata varia tra il 4 e il 6%; nel settore pubblico si arriva invece a volte al 12/14%. Insomma, siamo dinanzi a percentuali decisamente fin troppo elevate per parlare di semplice malcostume, senza suonare il campanello di allarme, e portare l'attenzione anche su altri aspetti come l'eccessivo spreco di denaro pubblico e sui minori servizi destinati a cittadini ed imprese, sia in termini quantitativi che, soprattutto, qualitativi.
Il Ministro Nicolais, intervenendo sul caso dell'ospedale umbro, ha detto in sostanza che i mezzi per combattere la piaga dell'assenteismo nel pubblico impiego ci sono già e basterebbe applicarli, chiedendo infine, dalle pagine del quotidiano La Repubblica: «licenziamenti certi e veloci per i dipendenti condannati». E' vero che i mezzi esistono già: il merito è di un contratto collettivo sottoscritto sotto il governo Berlusconi. Infatti secondo il CCNL (contratto collettivo nazionale di lavoro) del 12 giugno 2003, le fattispecie rilevate nella citata inchiesta potevano rientrare teoricamente nei casi per cui è previsto il licenziamento senza preavviso di cui all'art. 13, comma 6. Invece secondo l'ipotesi di CCNL per il quadriennio normativo 2006-2009, le stesse fattispecie sono state tipicizzate (ossia espressamente indicate) entro l'ambito di applicazione di una sanzione disciplinare meno punitiva come la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi. Insomma, a parole il Governo dichiara di voler intraprendere una lotta senza quartiere contro una delle piaghe endemiche del pubblico impiego nostrano; stando ai fatti, invece, sceglie di contrastare il malcostume dell'assenteismo dal posto di lavoro con strumenti poco incisivi.
Se è vero che una azione efficace contro l'assenteismo deve essere innanzitutto preventiva (maggiori controlli interni) e, nei casi limite, punitiva e repressiva (intervento delle forze dell'ordine e della magistratura) allora è pure vero che, se i dirigenti non hanno gli strumenti idonei per agire, l'empasse, che si configurerebbe qualora il controllore non avesse gli strumenti idonei per controllare, contribuirà a far proseguire il triste andazzo che vede i nullafacenti guadagnare (e continuare a lavorare nella Pubblica Amministrazione) tanto quanto i lavoratori virtuosi. A quando una vera riforma incentrata sulla meritocrazia?

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