martedì 15 marzo 2011

No all’accorpamento dei referendum con le amministrative



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 15 marzo 2011

Sono in discussione alla Camera le mozioni delle opposizioni concernenti iniziative per lo svolgimento nella stessa data dei quattro referendum abrogativi e del primo turno delle prossime elezioni amministrative. I firmatari delle tre mozioni in esame hanno avanzato tale richiesta affermando che in caso contrario andrebbero sprecati 300 milioni di euro. Questa tornata di elezioni amministrative coinvolgerà 11 amministrazioni provinciali e 1310 comuni italiani e, tra questi, ci sono importanti capoluoghi di regione come Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Cagliari e Catanzaro ed altri importanti comuni, come Ravenna, Rimini, Salerno, Latina, Novara e Arezzo. Vediamo quali sono i precedenti in merito alla richiesta avanzata dalle opposizioni. In questo caso ce ne sono 15 e mai nella storia della Repubblica i referendum abrogativi sono stati accorpati con altre elezioni.

C’è solo un caso di accorpamento con il secondo turno delle amministrative nel 2009 determinato da circostanze particolari. In quell’unico precedente, i referendum si sarebbero dovuti svolgere nel 2008, ma furono rinviati a causa delle elezioni politiche anticipate dell’aprile 2008 che poi sancirono la vittoria dello schieramento di centrodestra. L’articolo 34 della legge n. 352 del 1970 prevede che i referendum siano indetti solo dopo che è trascorso un anno dallo svolgimento delle elezioni politiche. Dato che sono necessari almeno 50 giorni tra indizione e svolgimento, nel 2009 rimanevano solo due date utili nel periodo 15 aprile-15 giugno prescritto dalla legge per lo svolgimento del referendum: il 7 e 14 giugno. Per evitare che nel 2009 gli elettori fossero chiamati a votare per tre domeniche consecutive (il 7 giugno per le europee e per il primo turno delle amministrative, il 14 giugno per il referendum e il 21 giugno per il secondo turno delle amministrative) fu fatta una legge per oltrepassare il termine del 15 giugno, accorpando i referendum con il secondo turno delle amministrative il 21 giugno 2009. Si tratta, quindi, di un precedente che nulla ha a che vedere con la situazione attuale e che, pertanto, non può essere assolutamente preso in considerazione.

Il dato da rilevare, invece, è che la richiesta delle opposizioni non è ricevibile perché il riconoscimento del pieno diritto di scelta tra tre opzioni (si, no, astensione), davanti ai quesiti proposti, ha avuto come conseguenza il consolidamento della prassi di non accorpare lo svolgimento dei referendum con qualsiasi tipo di elezione, al fine di non interferire in alcun modo con il diritto di scelta degli elettori. Questa prassi, consolidatasi nel tempo, é stata seguita da tutti i governi di qualsiasi colore politico e senza alcuna eccezione. Se non si raggiunge il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, il referendum è nullo. L'astensione è stato uno strumento spesso utilizzato per neutralizzare gli esiti della consultazione. In pratica, accorpare lo svolgimento del referendum con qualsiasi elezione significherebbe puntare sull’effetto traino della votazione elettorale per alzare il quorum, falsare il risultato e penalizzare la scelta dell’astensione che, di fatto, ha pari dignità rispetto a quella di chi va a votare e sceglie per il sì o per il no. Quanto alla polemica sollevata sullo spreco di 300 milioni di euro, occorrerebbe far rilevare che se dovessimo entrare in un discorso di carattere strettamente economico è davvero paradossale che la parte politica che ha svilito lo strumento referendario, sperperando denaro pubblico, oggi gridi allo spreco. Dal 1995 nessuno dei 24 quesiti proposti ha mai raggiunto il quorum. Se davvero la sinistra avesse avuto a cuore il risparmio dei soldi spesi per il referendum, avrebbe certamente evitato di proporre 7 quesiti referendari in due anni, considerando che l'affluenza media negli ultimi 10 anni di referendum è stata solo del 25%.

FONTE

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