lunedì 28 marzo 2011

La concretezza del Governo sull'emergenza immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 28 marzo 2011

La situazione a Lampedusa e dintorni non sembra ancora avviata sulla via della normalizzazione e gli sbarchi continuano a un ritmo incessante. Dopo gli arrivi in massa dei tunisini ora è la volta di gruppi di somali ed eritrei provenienti con tutta probabilità dalle coste libiche. Forse si tratta di un'avanguardia di quella moltitudine di persone in fuga dal corno d'Africa che ha nella Libia una tappa di passaggio obbligata, nelle direttrici oramai consolidate del traffico di esseri umani, e nell'Europa la destinazione preferita.

Bisogna fare una distinzione tra profughi e clandestini. Chi scappa dalla guerra, con riferimento a somali ed eritrei, ha diritto alla protezione internazionale; non solo l'Italia, ma tutti gli altri paesi europei dovranno farsi carico di accogliere queste persone. Su come affrontare questa evenienza non possono esserci mezze misure o sotterfugi. Bisogna cominciare a sondare la concreta solidarietà offerta dalle istituzioni comunitarie all'Italia e mettere da parte tutti gli egoismi nazionali.
Non è un buon segno, a riguardo, il muro immaginario innalzato dal governo di Sarkozy al confine italo-francese e i respingimenti a raffica delle autorità francesi nei confronti degli immigrati tunisini che volevano entrare in territorio transalpino attraverso il nostro paese. Ma come? I francesi dichiarano di partire lancia in resta in Libia per scopi esclusivamente umanitari, destabilizzando un'intera regione e provocando un probabile esodo di massa verso l'Italia, e poi fanno la faccia feroce nei confronti di un po' di tunisini che vogliono ricongiungersi con i loro cari in Francia? Se la Francia è mossa da un sincero spirito umanitario, è bene che lo dimostri con atti concreti di solidarietà, magari aprendo le proprie frontiere per accogliere una parte dei profughi in arrivo in Italia. Nessuno può chiedere a uno Stato di annacquare le disposizioni nazionali in materia d'immigrazione, magari chiudendo un occhio sui clandestini, ma certamente in ambito comunitario è possibile arrivare a un'equa ripartizione dei profughi e dei richiedenti asilo secondo il principio del «burden sharing» (condivisione degli oneri).
Il Governo italiano sta facendo senza indugio la propria parte, mostrando una concreta solidarietà verso chi scappa dalla guerra. Il piano italiano prevede di accogliere fino a 50 mila profughi suddivisi per ogni regione con un tetto massimo di mille persone ogni milione di abitanti. Peccato che nessuna delle organizzazioni umanitarie sempre pronte a bacchettare ingiustamente e impropriamente l'Italia, quando si parla d'immigrazione, abbia speso una buona parola sulla generosità del nostro paese e sull'atteggiamento ambiguo e ondivago di altri Stati europei.

Altro discorso è quello su chi arriva in Italia in violazione delle nostre leggi in materia d'immigrazione. Innanzitutto il piano messo in piedi dal nostro governo è obiettivamente l'unica strada possibile e perseguibile in tempi brevi per arrivare a risultati soddisfacenti. L'iniziativa prevede l'individuazione di siti da parte del Ministero della Difesa, in aree militari dismesse, dove attuare le procedure di identificazione ed eventuale espulsione nei confronti di chi non dovesse avere le carte in regole per restare. Il problema, semmai, non è il nostro piano ma l'accordo tra l'Italia e la Tunisia che, visti gli arrivi in massa di persone da quel paese, non sembra ancora funzionare al meglio per l'inerzia delle autorità del paese nord africano. Le loro procedure per il nullaosta sono ancora troppo lente e, qualora la situazione non dovesse sbloccarsi, l'Italia sarebbe assolutamente legittimata a procedere con i rimpatri forzati per salvaguardare l'integrità dei propri confini nazionali.

Tuttavia è nell'interesse di tutti, anche della Tunisia, arrivare ad una proficua collaborazione tra i due paesi in materia di gestione delle dinamiche migratorie. Bisognerà magari anche forzare la mano con le autorità tunisine, usando la diplomazia e gli interessi commerciali che legano i due paesi, soprattutto in campo turistico, per migliorare i meccanismi di rimpatrio e valutare la proficuità di quelli assistiti. In merito a questi ultimi, è necessario precisare che si tratta di programmi finanziati dall'Europa nell'ambito della cooperazione con gli Stati di provenienza degli immigrati e sono gestiti dalle organizzazioni internazionali.
Insomma, non si tratta di procedure che prevedono l'elargizione di denaro ai singoli immigrati da parte del governo italiano sul modello del fallimentare programma promosso dalla Spagna. Bisogna ricordare, infatti, che stando alle cifre del Ministero del Lavoro spagnolo, dopo un anno dal varo, solo mille immigrati disoccupati extracomunitari in Spagna avevano aderito al piano di rientro volontario nei paesi di origine promosso alla fine del 2008 dal Governo del premier socialista Jose' Luis Zapatero per ridurre il numero altissimo di manodopera straniera senza lavoro nel paese. Al momento del varo della misura, nel novembre del 2008, il governo spagnolo aveva inizialmente parlato di un bacino di 1,2 milioni persone interessate, salvo poi realisticamente attestarsi su una previsione di adesione al piano da parte di 100 mila immigrati. Il piano di rientro prevedeva il pagamento in due soluzioni di tutte le indennità di disoccupazione agli immigrati che avrebbero accettato di tornare nel loro paese, di rinunciare al permesso di soggiorno e di impegnarsi a non cercare di tornare per almeno tre anni. Tra i motivi per il cui il piano è miseramente fallito c'era il divieto di reingresso per un periodo di tre anni e l'esiguità dell'indennità di disoccupazione, che non permetteva di avviare alcun progetto di vita nel paese di origine.

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