giovedì 31 marzo 2011

Lampedusa non sarà lasciata sola



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
giovedì 31 marzo 2011

Nella seduta straordinaria della conferenza unificata di mercoledì 30 marzo, il governo e gli enti locali hanno sancito un accordo, sulla base della richiesta avanzata dall'esecutivo per affrontare l'emergenza migratoria attraverso uno sforzo comune e condiviso, per accogliere fino ad un massimo di 50 mila profughi sul territorio nazionale e distribuendoli equamente in ciascuna regione, escluso l'Abruzzo. Tale flusso territoriale sarà definito nei prossimi giorni da una cabina di regia nazionale, coordinata dal governo e dagli enti locali ed articolata nelle diverse realtà regionali, coinvolgendo le prefetture. Per quanto riguarda il problema dei minori stranieri non accompagnati, il governo si è impegnato ad individuare risorse stabili e pluriennali al sostegno della collocazione nelle case famiglia attraverso i Comuni. L'esecutivo, inoltre, si è impegnato anche ad assicurare un criterio di equa e sostenibile attribuzione in tutto il territorio nazionale degli immigrati che risultassero clandestini, sentiti gli enti territoriali interessati. Ovviamente si tratterà di una distribuzione temporanea, legata alle procedure d'identificazione ed espulsione di chi non dovesse avere le carte in regola per restare nel nostro Paese. Le risorse finanziarie necessarie a gestire la situazione emergenziale saranno totalmente a carico del governo.

L'accordo raggiunto è un passo fondamentale per rendere operativo il piano già annunciato dal ministro Maroni per affrontare l'eccezionale ondata migratoria in arrivo sulle nostre coste a causa delle rivolte in Nord Africa. Chi parla di eventuali ritardi da parte del governo nella gestione di questa situazione sbaglia di grosso. Fino ad ora sono arrivate circa 15 mila persone in Italia a seguito delle note vicende in corso nei Paesi nord africani e, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di tunisini che non scappano dalla guerra e che sono entrati nel nostro Paese in violazione delle nostre disposizioni in materia di immigrazione. Non stiamo parlando di profughi, quindi, ma di clandestini che vanno identificati ed espulsi.

Ora, nessuno vuole criminalizzare queste persone che certamente vanno via dal proprio territorio in cerca di una vita migliore, affrontando una traversata in mare densa di pericoli per ritrovarsi, poi, in un Paese straniero senza alcuna prospettiva certa. Tuttavia non possiamo dimenticare che la tutela dei nostri confini e della coesione sociale ci impone l'applicazione delle regole che prevedono l'espulsione per i clandestini. E' molto più umano e utile per tutti aiutare queste persone a migliorare le proprie condizioni di vita a casa propria, utilizzando magari bene gli stessi soldi che avremmo speso per tenerli nel nostro Paese, che prenderli in giro facendoli restare in Italia con la prospettiva di una vita migliore. Dove sarebbe, allora, la mancata reattività da parte del governo evocata da qualcuno? Proprio per evitare di essere colti di sorpresa, e impreparati a fronteggiare una futura situazione di emergenza, il nocciolo dell'accordo con gli enti locali ha previsto un piano di accoglienza preventivo per i profughi che potrebbero arrivare soprattutto dalle coste libiche ma che, al momento, non si sono ancora visti.

Mercoledì a Lampedusa il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha promesso che l'isola non sarà lasciata al suo destino e che in brevissimo tempo tutti gli stranieri arrivati saranno trasferiti altrove. Infatti, già nella mattinata di giovedì è partita dal porto di Lampedusa la nave da crociera Excelsior con a bordo circa 1.700 immigrati tunisini, che dovrebbero essere portati a Taranto e poi trasferiti a Manduria. E' la prima delle sei navi, tra cui una militare, arrivate mercoledì al porto di Lampedusa per trasferire fino a 10 mila migranti. Le operazioni di imbarco sono particolarmente laboriose, anche perché è necessario identificare i passeggeri uno per uno. Si tratta di un'attività lunga e laboriosa, che viene svolta con grande professionalità e umanità all'interno del centro dalla polizia scientifica.

FONTE

«I francesi facciano gli umanitari anche a casa loro»


Rischio di ondate di immigrati clandestini dal Maghreb. Il Predellino ha intervistato Antonio Maglietta, studioso delle tematiche relative al mondo del lavoro cresciuto alla "scuola" di don Gianni Baget Bozzo, per cercare di capire qualcosa di più di un fenomeno sempre più preoccupante.

di Andrea Camaiora

La situazione di instabilità politica in Tunisia e il conflitto in Libia stanno provocando un esodo verso l'Italia. Quali iniziative dovrebbe intraprendere il nostro paese per affrontare questo evento?
Bisogna distinguere tra profughi e richiedenti asilo da un lato e clandestini dall'altro. Chi scappa dalla guerra ha diritto alla protezione internazionale. Chi arriva in Italia in violazione delle nostre leggi in materia d'immigrazione, invece, deve essere rimpatriato. Il nostro governo ha ben chiara questa distinzione e si è mosso prontamente di conseguenza.

Per i primi ha predisposto un piano di accoglienza, per un massimo di 50 mila persone suddivise in ogni regione con un tetto di 1 profugo ogni mille abitanti. Per i secondi, invece, è in corso l'individuazione di siti idonei da parte del Ministero della Difesa, in aree militari dismesse, per avviare le procedure d'identificazione ed espulsione di chi non avesse le carte in regola per restare. Mi sembra un giusto equilibrio tra rispetto delle regole e doverosa accoglienza.

E' davvero sorprendente che nessuna organizzazione internazionale che opera per scopi umanitari in questo campo, sempre pronte a bacchettare impropriamente l'Italia quando si parla d'immigrazione, abbia speso una buona parola per la generosità concreta espressa dal nostro paese e, al contempo, non abbia in alcun modo censurato il comportamento di tutti quei paesi che sfuggono dai propri obblighi di natura umanitaria.

Qualcuno ha criticato il comportamento del nostro governo, giudicato troppo duro nei confronti dei clandestini. Lei cosa ne pensa?
Più che di atteggiamento duro si dovrebbe parlare di atteggiamento giusto. Chi non è in regola con le nostre leggi in materia d'immigrazione deve essere espulso. Su questo tema non si può essere ondivaghi perché qui è in gioco la salvaguardia dei confini nazionali e la coesione sociale nel nostro paese.

Si tratta di due questioni fondamentali che potrebbero essere colpite duramente se da un lato chiudiamo un occhio sui clandestini che arrivano nel nostro paese, magari anche solo temporaneamente, e dall'altro subiamo l'atteggiamento egoistico di alcuni Stati europei che rifiutano il principio del burden sharing per l'accoglienza di chi scappa dalla guerra.

I francesi hanno alzato un muro immaginario al confine con l'Italia e hanno respinto senza tanti fronzoli un centinaio di tunisini che volevano attraversare il confine per ricongiungersi con i loro cari perché, secondo le autorità transalpine, non erano in regola con le disposizioni in materia d'ingresso sul loro territorio. Non mi risulta che chi abbia mosso critiche al nostro governo abbia anche protestato con i francesi per questo fatto.

Come giudica l'atteggiamento dell'Europa di fronte a questa emergenza?
L'Europa è la grande assente e l'atteggiamento ondivago delle sue istituzioni non fa che accentuare questo giudizio: da un lato promettono solidarietà all'Italia nella gestione di questi eccezionali flussi migratori e dall'altro sono latitanti quando si tratta di rendere concreta questa promessa. Si sentono molte parole e buoni propositi ma si vedono pochi fatti.

Il Governo italiano ha spesso evocato il principio del burden sharing (suddivisione del peso) nella gestione di questi flussi migratori eccezionali ma i nostri partner comunitari non sembrano essere disposti a fare la propria parte.
Anche in questo caso va fatta la distinzione tra chi scappa dalla guerra e i clandestini. Nessuno ha chiesto agli altri paesi comunitari di ammorbidire le proprie disposizioni in materia d'immigrazione e di prendersi in casa i clandestini.

L'applicazione del principio del burden sharing riguarda coloro che scappano dalla guerra. In sostanza si chiede ai paesi europei di suddividersi i profughi e i richiedenti asilo a seconda delle proprie capacità di accoglienza.

Sarebbe pericoloso per il nostro paese, terra di confine a causa della propria posizione geografica e, quindi, spesso punto di passaggio quasi obbligato per entrare in Europa, far passare il concetto che se queste persone arrivano in Italia, magari solo come tappa intermedia prima della destinazione finale in qualche altro paese, debbano essere accolte solo qui da noi.

I francesi, ad esempio, hanno detto che i bombardamenti in Libia sono a scopo umanitario. Poiché sono mossi da così nobili principi, iniziassero a mostrare questa profonda umanità anche nei confronti di chi scappa dalla guerra, magari accogliendo questa gente nel proprio territorio.

31 marzo 2011

FONTE

lunedì 28 marzo 2011

La concretezza del Governo sull'emergenza immigrazione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 28 marzo 2011

La situazione a Lampedusa e dintorni non sembra ancora avviata sulla via della normalizzazione e gli sbarchi continuano a un ritmo incessante. Dopo gli arrivi in massa dei tunisini ora è la volta di gruppi di somali ed eritrei provenienti con tutta probabilità dalle coste libiche. Forse si tratta di un'avanguardia di quella moltitudine di persone in fuga dal corno d'Africa che ha nella Libia una tappa di passaggio obbligata, nelle direttrici oramai consolidate del traffico di esseri umani, e nell'Europa la destinazione preferita.

Bisogna fare una distinzione tra profughi e clandestini. Chi scappa dalla guerra, con riferimento a somali ed eritrei, ha diritto alla protezione internazionale; non solo l'Italia, ma tutti gli altri paesi europei dovranno farsi carico di accogliere queste persone. Su come affrontare questa evenienza non possono esserci mezze misure o sotterfugi. Bisogna cominciare a sondare la concreta solidarietà offerta dalle istituzioni comunitarie all'Italia e mettere da parte tutti gli egoismi nazionali.
Non è un buon segno, a riguardo, il muro immaginario innalzato dal governo di Sarkozy al confine italo-francese e i respingimenti a raffica delle autorità francesi nei confronti degli immigrati tunisini che volevano entrare in territorio transalpino attraverso il nostro paese. Ma come? I francesi dichiarano di partire lancia in resta in Libia per scopi esclusivamente umanitari, destabilizzando un'intera regione e provocando un probabile esodo di massa verso l'Italia, e poi fanno la faccia feroce nei confronti di un po' di tunisini che vogliono ricongiungersi con i loro cari in Francia? Se la Francia è mossa da un sincero spirito umanitario, è bene che lo dimostri con atti concreti di solidarietà, magari aprendo le proprie frontiere per accogliere una parte dei profughi in arrivo in Italia. Nessuno può chiedere a uno Stato di annacquare le disposizioni nazionali in materia d'immigrazione, magari chiudendo un occhio sui clandestini, ma certamente in ambito comunitario è possibile arrivare a un'equa ripartizione dei profughi e dei richiedenti asilo secondo il principio del «burden sharing» (condivisione degli oneri).
Il Governo italiano sta facendo senza indugio la propria parte, mostrando una concreta solidarietà verso chi scappa dalla guerra. Il piano italiano prevede di accogliere fino a 50 mila profughi suddivisi per ogni regione con un tetto massimo di mille persone ogni milione di abitanti. Peccato che nessuna delle organizzazioni umanitarie sempre pronte a bacchettare ingiustamente e impropriamente l'Italia, quando si parla d'immigrazione, abbia speso una buona parola sulla generosità del nostro paese e sull'atteggiamento ambiguo e ondivago di altri Stati europei.

Altro discorso è quello su chi arriva in Italia in violazione delle nostre leggi in materia d'immigrazione. Innanzitutto il piano messo in piedi dal nostro governo è obiettivamente l'unica strada possibile e perseguibile in tempi brevi per arrivare a risultati soddisfacenti. L'iniziativa prevede l'individuazione di siti da parte del Ministero della Difesa, in aree militari dismesse, dove attuare le procedure di identificazione ed eventuale espulsione nei confronti di chi non dovesse avere le carte in regole per restare. Il problema, semmai, non è il nostro piano ma l'accordo tra l'Italia e la Tunisia che, visti gli arrivi in massa di persone da quel paese, non sembra ancora funzionare al meglio per l'inerzia delle autorità del paese nord africano. Le loro procedure per il nullaosta sono ancora troppo lente e, qualora la situazione non dovesse sbloccarsi, l'Italia sarebbe assolutamente legittimata a procedere con i rimpatri forzati per salvaguardare l'integrità dei propri confini nazionali.

Tuttavia è nell'interesse di tutti, anche della Tunisia, arrivare ad una proficua collaborazione tra i due paesi in materia di gestione delle dinamiche migratorie. Bisognerà magari anche forzare la mano con le autorità tunisine, usando la diplomazia e gli interessi commerciali che legano i due paesi, soprattutto in campo turistico, per migliorare i meccanismi di rimpatrio e valutare la proficuità di quelli assistiti. In merito a questi ultimi, è necessario precisare che si tratta di programmi finanziati dall'Europa nell'ambito della cooperazione con gli Stati di provenienza degli immigrati e sono gestiti dalle organizzazioni internazionali.
Insomma, non si tratta di procedure che prevedono l'elargizione di denaro ai singoli immigrati da parte del governo italiano sul modello del fallimentare programma promosso dalla Spagna. Bisogna ricordare, infatti, che stando alle cifre del Ministero del Lavoro spagnolo, dopo un anno dal varo, solo mille immigrati disoccupati extracomunitari in Spagna avevano aderito al piano di rientro volontario nei paesi di origine promosso alla fine del 2008 dal Governo del premier socialista Jose' Luis Zapatero per ridurre il numero altissimo di manodopera straniera senza lavoro nel paese. Al momento del varo della misura, nel novembre del 2008, il governo spagnolo aveva inizialmente parlato di un bacino di 1,2 milioni persone interessate, salvo poi realisticamente attestarsi su una previsione di adesione al piano da parte di 100 mila immigrati. Il piano di rientro prevedeva il pagamento in due soluzioni di tutte le indennità di disoccupazione agli immigrati che avrebbero accettato di tornare nel loro paese, di rinunciare al permesso di soggiorno e di impegnarsi a non cercare di tornare per almeno tre anni. Tra i motivi per il cui il piano è miseramente fallito c'era il divieto di reingresso per un periodo di tre anni e l'esiguità dell'indennità di disoccupazione, che non permetteva di avviare alcun progetto di vita nel paese di origine.

mercoledì 23 marzo 2011

Immigrazione: solidarietà e sussidiarietà in Europa



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 22 marzo 2011

La situazione nei paesi nord africani non ancora stabilizzata e i combattimenti in Libia non fanno che aumentare il traffico dei clandestini nel Mediterraneo. In questo quadro, l'Italia è una delle mete di approdo preferito. E' chiaro a tutti che il nostro paese non può aiutare adeguatamente tutte le persone che arrivano dall'Africa ma, come noi, nessuno sarebbe in grado di reggere una ondata di immigrati del genere. Fino ad ora, con circa 15 mila arrivi dall'inizio dell'anno, quasi tutti clandestini, abbiamo avuto solo un antipasto. I Cie sono saturi e l'intensità con cui sono avvenuti questi sbarchi sta creando forti disagi a Lampedusa. Per questo motivo tutti i paesi dell'Ue, in base al principio della solidarietà e sussidiarietà, si devono fare carico dell'assistenza agli immigrati in arrivo in Europa per l'attuazione del burden sharing letteralmente «suddivisione del peso».
In questo quadro va segnalato che c'è anche un vero e proprio pericolo sicurezza. E' necessario che i flussi di persone in arrivo siano gestiti in maniera tale da vigilare e bloccare qualche malintenzionato che si mischia con la brava gente. Il pericolo terrorismo è concreto e la situazione incandescente in tutto il nord Africa non fa altro che alimentarlo.
Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, intervenendo in una trasmissione radiofonica, ha affermato che il Consiglio dei Ministri degli Esteri dell'Unione europea ha approvato un documento importante sulla Libia, nel quale lui stesso ha chiesto e ottenuto che si inserisse un paragrafo dedicato all'immigrazione. Lo stesso Frattini ha fatto sapere che «i colleghi europei lo hanno condiviso: non può essere l'Italia il paese in prima linea, quello che si prende da solo il peso di un eventuale impatto migratorio dalla Libia. A questo proposito- ha aggiunto il titolare della Farnesina - abbiamo pianificato anche l'avvio di una missione marittima mediterranea dell'Unione europea».
Sono anni che l'Italia chiede un intervento congiunto di tutti i paesi europei sul tema, ma puntualmente c'è sempre qualcuno che si oppone pensando che non sia un problema comunitario ma dei singoli stati. Forse dalle capitali del centro e del nord Europa non si vede bene quello che sta avvenendo sulla sponda africana del Mediterraneo e i flussi di persone in movimento nel continente nero. Non è chiaro se si tratti di miopia politica o di semplice ma fastidioso egoismo nazionale. Fatto sta che se l'Europa è ancora politicamente irrilevante lo dobbiamo anche a questo.
La stessa Francia dovrebbe capire che nessuno può comportarsi da padrone nel mar Mediterraneo, anche perché i danni maggiori di un intervento maldestro in Libia ricadrebbero sull'Italia sia in termini di massiccia immigrazione che di rischio terrorismo. Sarebbe davvero molto gradita, quindi, una maggiore coralità negli obiettivi che si vogliono raggiungere e nelle azioni che si intendono mettere in campo. Non si può partire all'arrembaggio pensando che poi siano gli altri a doversi sobbarcare tutte le ricadute negative di queste operazioni.
Nei prossimi giorni il ministro dell'interno, Roberto Maroni, presenterà un piano alle Regioni, all'Anci e all'Upi per accogliere, gestire e distribuire su tutto il territorio nazionale fino a un massimo di cinquantamila profughi libici, che potrebbero sbarcare in Italia in seguito alla delicata situazione della propria terra. Se le cose dovessero complicarsi ulteriormente in Libia, nonostante l'apprezzabile sforzo del governo italiano, quei numeri potrebbero essere rivisti al rialzo. In questa situazione, bisognerà premere su tutti i nostri partners continentali e sui rappresentanti delle istituzioni europee per capire i reali margini di manovra per arrivare a una gestione comunitaria di quella massa di immigrati che si potrebbe riversare sul nostro territorio.

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martedì 15 marzo 2011

No all’accorpamento dei referendum con le amministrative



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 15 marzo 2011

Sono in discussione alla Camera le mozioni delle opposizioni concernenti iniziative per lo svolgimento nella stessa data dei quattro referendum abrogativi e del primo turno delle prossime elezioni amministrative. I firmatari delle tre mozioni in esame hanno avanzato tale richiesta affermando che in caso contrario andrebbero sprecati 300 milioni di euro. Questa tornata di elezioni amministrative coinvolgerà 11 amministrazioni provinciali e 1310 comuni italiani e, tra questi, ci sono importanti capoluoghi di regione come Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Cagliari e Catanzaro ed altri importanti comuni, come Ravenna, Rimini, Salerno, Latina, Novara e Arezzo. Vediamo quali sono i precedenti in merito alla richiesta avanzata dalle opposizioni. In questo caso ce ne sono 15 e mai nella storia della Repubblica i referendum abrogativi sono stati accorpati con altre elezioni.

C’è solo un caso di accorpamento con il secondo turno delle amministrative nel 2009 determinato da circostanze particolari. In quell’unico precedente, i referendum si sarebbero dovuti svolgere nel 2008, ma furono rinviati a causa delle elezioni politiche anticipate dell’aprile 2008 che poi sancirono la vittoria dello schieramento di centrodestra. L’articolo 34 della legge n. 352 del 1970 prevede che i referendum siano indetti solo dopo che è trascorso un anno dallo svolgimento delle elezioni politiche. Dato che sono necessari almeno 50 giorni tra indizione e svolgimento, nel 2009 rimanevano solo due date utili nel periodo 15 aprile-15 giugno prescritto dalla legge per lo svolgimento del referendum: il 7 e 14 giugno. Per evitare che nel 2009 gli elettori fossero chiamati a votare per tre domeniche consecutive (il 7 giugno per le europee e per il primo turno delle amministrative, il 14 giugno per il referendum e il 21 giugno per il secondo turno delle amministrative) fu fatta una legge per oltrepassare il termine del 15 giugno, accorpando i referendum con il secondo turno delle amministrative il 21 giugno 2009. Si tratta, quindi, di un precedente che nulla ha a che vedere con la situazione attuale e che, pertanto, non può essere assolutamente preso in considerazione.

Il dato da rilevare, invece, è che la richiesta delle opposizioni non è ricevibile perché il riconoscimento del pieno diritto di scelta tra tre opzioni (si, no, astensione), davanti ai quesiti proposti, ha avuto come conseguenza il consolidamento della prassi di non accorpare lo svolgimento dei referendum con qualsiasi tipo di elezione, al fine di non interferire in alcun modo con il diritto di scelta degli elettori. Questa prassi, consolidatasi nel tempo, é stata seguita da tutti i governi di qualsiasi colore politico e senza alcuna eccezione. Se non si raggiunge il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, il referendum è nullo. L'astensione è stato uno strumento spesso utilizzato per neutralizzare gli esiti della consultazione. In pratica, accorpare lo svolgimento del referendum con qualsiasi elezione significherebbe puntare sull’effetto traino della votazione elettorale per alzare il quorum, falsare il risultato e penalizzare la scelta dell’astensione che, di fatto, ha pari dignità rispetto a quella di chi va a votare e sceglie per il sì o per il no. Quanto alla polemica sollevata sullo spreco di 300 milioni di euro, occorrerebbe far rilevare che se dovessimo entrare in un discorso di carattere strettamente economico è davvero paradossale che la parte politica che ha svilito lo strumento referendario, sperperando denaro pubblico, oggi gridi allo spreco. Dal 1995 nessuno dei 24 quesiti proposti ha mai raggiunto il quorum. Se davvero la sinistra avesse avuto a cuore il risparmio dei soldi spesi per il referendum, avrebbe certamente evitato di proporre 7 quesiti referendari in due anni, considerando che l'affluenza media negli ultimi 10 anni di referendum è stata solo del 25%.

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mercoledì 2 marzo 2011

Immigrazione: in Europa poca solidarietà e molto egoismo



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 02 marzo 2011

Parigi guarda con preoccupazione al potenziale flusso di immigrati provenienti dal Nord-Africa e assicura di condividere la linea dell'Italia a questo proposito. Il ministro per gli Affari Europei, Laurent Wauquiez, ha parlato oggi di afflusso in provenienza della Libia in termini di «un vero rischio per l'Europa, che non deve essere sottovalutato». «La Libia è l'imbuto dell'Africa. Paesi come la Liberia, la Somalia, l'Eritrea hanno flussi di immigrazione illegale che passano attraverso la Libia. E' un vero rischio per l'Europa che non deve essere sottovalutato», ha affermato, parlando a France Info. «Dobbiamo difendere a livello europeo le nostre frontiere - ha aggiunto - e non possiamo accogliere flussi di immigrazione illegali che l'Europa non è in grado di integrare». La Francia, ha poi aggiunto il ministro, si trova «esattamente sulle stesse posizioni» dell'Italia. «Ciò di cui si parla non è di qualche decina di migliaia di immigrati illegali che potrebbero arrivare in Europa, ma potenzialmente di 200-300mila persone che lungo l'anno potrebbero cercare di attraversare il Mediterraneo in direzione dell'Europa».

Sbaglia o mente, quindi, chi parla di Italia isolata nel contesto europeo sulla questione dei flussi di immigrati che potrebbero arrivare dalle coste del nord Africa, con particolare riguardo alla situazione in Libia e in Tunisia. Il problema, tuttavia, non è neanche questo perché le beghe di cortile sollevate da qualcuno in Italia sul fatto che le posizioni del nostro governo siano sostenute o no da altri partners comunitari non sono neanche degne di attrarre l'attenzione dell'opinione pubblica. I fatti dicono che non è così e che i paesi rivieraschi del sud stanno facendo fronte comune. Chi dice il contrario o è poco informato o mente sapendo di farlo.

La questione fondamentale, invece, è la poca solidarietà espressa da alcuni paesi del nord Europa, la lentezza di riflessi delle istituzioni comunitarie e la mancanza di una posizione comune da parte degli Stati del Vecchio Continente. Si chiama o no Unione europea? E allora dove è quest' unione? Se qualcuno pensa che le conseguenze della situazione in Tunisia e Libia siano un affare solo dei paesi del sud dell'Europa si sbaglia di grosso. Qualora dovesse abbattersi sulle nostre coste una marea incontrollata di clandestini provenienti dal nord Africa, il problema sarà non solo di chi dovrà accoglierli nel breve periodo ma anche di chi se ne dovrà fare carico nel lungo, perché i paesi rivieraschi del meridione d'Europa sono spesso solo una tappa di passaggio. Nessuno ha chiesto ai paesi del nord di farsi carico di tutti i possibili richiedenti asilo ma, molto più semplicemente, che ognuno accolga tante persone quante ne può sostenere il proprio sistema nazionale. E' una richiesta di buon senso che, tuttavia, visti gli atteggiamenti, sembra essere stata respinta quasi con sdegno. La miopia di questi Stati, che non riescono a vedere cosa sta succedendo alle porte dell'Europa, forse cesserà solo quando i clandestini saranno ben in vista sul proprio territorio.

Il Commissario Ue responsabile dell'immigrazione e della sicurezza, Cecilia Malmstrom, ha ricordato nei giorni scorsi che è già disponibile in caso di gravi crisi umanitarie un fondo di emergenza di 25 milioni di euro. La cifra è davvero esigua e serve solo a dimostrare l'inadeguatezza dei mezzi in campo per fronteggiare in maniera reattiva una possibile emergenza umanitaria.

La grande assente è la politica europea comune nel Mediterraneo. Il prossimo 11 marzo il consiglio europeo straordinario potrebbe essere il luogo ideale per mettere da parte l'egoismo, la miopia e l'ottusità e far trionfare finalmente la solidarietà e l'unità.

FONTE
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