mercoledì 21 luglio 2010

Rapporto Cnel sul mercato del lavoro 2009-2010: la disoccupazione giovanile


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 21 luglio 2010

Per i giovani attivi nel mercato del lavoro in Italia il rischio di essere disoccupati è triplo rispetto a quello di persone più anziane. A lanciare l'allarme sulla disoccupazione giovanile è il Cnel nel «Rapporto sul mercato del lavoro 2009-2010». La maggiore probabilità di essere disoccupati, spiega comunque il Cnel, caratterizza i giovani di tutta Europa, e non solo quelli italiani.
Se, infatti, guardiamo ai dati Eurostat, il tasso di disoccupazione giovanile (under 25) in Italia è 29,2%, in Spagna 40,5%, in Francia 22,6%, in Gran Bretagna 19,7% (dati aggiornati a marzo 2010), negli Stati Uniti 18,1%. Nel rapporto si evidenzia come le nuove forme contrattuali, più flessibili, abbiano facilitato l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: in periodi in cui la domanda di lavoro cresceva, le imprese facevano maggior ricorso a forme flessibili d'impiego, dati i costi di licenziamento nettamente inferiori a queste connessi.
Per chi è entrato nel mercato del lavoro nell'ultimo decennio, si sono ridotti i tempi di ricerca prima di poter trovare una prima occupazione. Nel 2009, anno peraltro di crisi, la durata media di ricerca di una prima occupazione per giovani non esperti è stata di un anno e mezzo. Tra i giovani occupati con meno di 25 anni, l'incidenza dei dipendenti temporanei è pari a quattro volte l'incidenza osservata presso gli adulti delle età centrali (25-54 anni). Non si tratta di una tendenza tutta italiana. Per il complesso dell'Unione europea, gli occupati temporanei rappresentano poco meno del 14% dei dipendenti totali, ma tale quota sale al 40% considerando solo i giovani.
Generalmente, osserva il Cnel, i lavoratori temporanei possono fungere da «cuscinetto» per aggiustare la quantità di manodopera secondo le fluttuazioni della produzione. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente nel corso dei mesi critici della crisi economica che ha colpito l'Italia sul finire del 2008. Una quantificazione del numero di lavoratori impiegati con contratti non standard tra il 2008 e il 2009 mostra, infatti, una variazione di segno negativo pari a 239 mila unità in meno tra i lavoratori impiegati nel segmento più flessibile del mercato (-8,6%), con flessioni particolarmente consistenti per i collaboratori (che in un anno sono diminuiti del 17%). I temuti effetti negativi legati alla diffusione dei contratti temporanei si sono alla fine effettivamente esplicitati, e i lavoratori con contratti di durata prefissata (data la possibilità di evitare i costi di licenziamento associati al lavoro permanente) sono stati i primi a pagare le conseguenze occupazionali dell'attuale crisi economica.
Secondo il Cnel la crisi economica globale ha avuto nel 2009 effetti rilevanti sul mercato del lavoro, ma l'Italia è tra i Paesi «caratterizzati dagli incrementi del tasso di disoccupazione mediamente più contenuti in rapporto alla severità della recessione». E «in una certa misura la parziale tenuta dei livelli dell'occupazione deriva dalle politiche» messe in campo dal governo «che hanno puntato sugli schemi di lavoro a orario ridotto, come la Cig».
Insomma il rapporto del Cnel conferma che tra i giovani, non solo italiani, c'è un alto tasso di disoccupazione e che, se nell'ultimo decennio i contratti flessibili hanno aumentato le loro possibilità di accedere in tempi relativamente brevi nel mercato, è pur vero che sono loro i primi a perdere il posto di lavoro in caso di crisi.
L'alto tasso di disoccupazione tra gli under 25 è frutto di diversi problemi. Da segnalare, in particolar modo, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro (ci sono posti vacanti o perché nessuno ha le competenze per riempirli o perché sono addirittura rifiutati. Utilizzando le stime di Confindustria e Confartigianato, i posti vacanti nel 2009 sono stati quasi 100 mila) e il passaggio scuola-lavoro. Su quest'ultimo aspetto va fatto anche un salto di natura culturale. Scuola e lavoro non possono essere viste come realtà separate ma, invece, come esperienze che necessariamente devono fondersi affinché il passaggio dall'una all'altra non sia più un salto nel buio ma un percorso graduale in grado di facilitare l'ingresso di un giovane nel mercato. Stare anni e anni sui banchi di scuola per imparare qualcosa che poi non servirà nel lavoro è un lusso che si possono permettere solo i figli dei ricchi e quelle poche persone che ci guadagnano in questo sistema (qualche docente di qualche assurdo corso universitario).
A riguardo va segnalato il piano di azione «Italia 2020», elaborato dai ministri del lavoro e dell'istruzione, per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro. Tra le priorità individuate: facilitare la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciare l'istruzione tecnico-professionale ed il contratto di apprendistato, ripensare il ruolo della formazione universitaria, aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro.

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