venerdì 24 luglio 2009

Dopo l’oracolo di Gallipoli, ecco il Nostradamus di Ferrara



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

giovedì 23 luglio 2009

Dopo l'oracolo di Gallipoli Massimo D'Alema, esperto in sismologia, ora è la volta di Dario Franceschini, nelle inedite vesti del Nostradamus di Ferrara, esperto in traumatologia. Nel corso di una intervista rilasciata al Corriere della Sera, l'attuale segretario del Partito Democratico ha detto, con riferimento alla leadership di Berlusconi, che «ci sono tutti gli ingredienti per una fine traumatica anticipata». Non è dato sapere quali siano gli ingredienti cui si riferisce Franceschini, anche perché è un dato oggettivo che, guardano ai fatti che contano, per Berlusconi l'avventura politica della legislatura in corso è iniziata con la vittoria alle elezioni politiche, è passata per l'ottimo risultato registrato alle amministrative ed è proseguita con il successo del vertice del G8 da lui presieduto. Se poi diamo uno sguardo alla durata dei governi italiani, il record, con 1.410 giorni, spetta proprio a quello Berlusconi (2001-2006) mentre è risaputo che i governi di centrosinistra durano e cambiano come le stagioni. Ne è un fulgido esempio la XIII legislatura, che ha visto all'opera ben quattro governi (Prodi, D'Alema, D'Alema II e Amato, per poi presentarsi alle elezioni politiche con Rutelli) o la XV legislatura, in cui, dopo mille litigi, il governo Prodi durò meno di due anni.

Nel frattempo, lo stesso Franceschini ha trovato il tempo per fare una cosa positiva, e cioè prendere le distanze da Di Pietro dopo le accuse dell'ex pm al capo dello Stato. Il segretario del Pd ha infatti affermato che «il presidente della Repubblica svolge una funzione di garanzia. E' nella sua discrezione mandare messaggi al parlamento, e ci sono precedenti di leggi promulgate con lettere di accompagnamento. Penso che una forza di opposizione in questo momento non dovrebbe spostare l'attenzione su Napolitano. In queste ultime settimane Di Pietro è stato più concentrato a criticare il capo dello Stato che non il capo del governo. Non mi pare il modo utile per fare opposizione. E' molto strano, per non dire altro, vedere un leader di opposizione che fa un sit-in davanti al Quirinale».

La replica di Di Pietro non s'è fatta attendere: «Va bene il rispetto delle istituzioni, ma non accettiamo la codardia e l'accondiscendenza a decisioni contraddittorie e incomprensibili, anche se provenienti dalla più alta carica dello Stato. Il segretario del Pd non si preoccupi del "come" fa opposizione l'Italia dei Valori, pensi piuttosto a fare un po' di seria opposizione al governo Berlusconi, invece di stare con la maggioranza a spartirsi le poltrone della Rai. Il Pd faccia la sua scelta: se vuole accodarsi all'Udc e rinunciare all'alleanza con l'Italia dei Valori non deve fare altro che dirlo».

A ben vedere, alla luce delle carinerie che si scambiano Franceschini e Di Pietro, è possibile dire - per usare le parole del segretario del Pd - che ci sono tutti gli ingredienti per una formale rottura del rapporto politico tra il Partito Democratico e l'Italia dei Valori. Sarebbe una novità positiva per il panorama politico italiano, che sicuramente contribuirebbe ad abbassare i toni eccessivamente alti del dibattito e a far concentrare tutte le energie e le attenzioni dei partiti sui temi che davvero interessano le persone e cioè il lavoro, la previdenza, l'assistenza sanitaria, la sicurezza, la scuola, le opere pubbliche, le politiche abitative, l'immigrazione. Se Franceschini davvero vuole dare un seguito concreto alle sue condivisibili affermazioni contro Di Pietro ed il suo movimento, porti questo tema al Congresso del Pd e ne faccia un cavallo di battaglia, magari da condividere con i suoi competitori Bersani e Marino.

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