sabato 23 giugno 2007

L'anno che verrà


di Antonio Maglietta - 23 giugno 2007


Caro amico ti scrivo così mi distraggo un pò e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c'è una grossa novità, l'anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va. Iniziava così l'Anno che verrà di Lucio Dalla. A 20 anni di distanza, quasi riprendendo le parole del cantautore bolognese dal punto di vista metaforico, 4 ministri (Alfonso Pecoraro Scanio, Fabio Mussi, Paolo Ferrero e Alessandro Bianchi: i cosiddetti esponenti dell'area radicale di lotta e di governo) hanno preso carta e penna ed hanno scritto una bella lettera. In questo caso il «caro amico» altro non è che il presidente del Consiglio, Romano Prodi. Nella missiva, dal tono amichevole nell'intestazione ma poco nelle intenzioni e nelle richieste, i 4 ministri, invocando un cambio di rotta, denunciano tutta la loro insoddisfazione riguardo alla trattativa con le parti sociali sul Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef).
«Caro Romano - si legge nella lettera - scriviamo innanzitutto per segnalarti la nostra forte preoccupazione relativamente al modo in cui viene condotta la trattativa con le parti sociali. Non condividiamo la posizione con cui il governo, e segnatamente il ministro dell'Economia, affronta questa trattativa. Da un lato, le risorse messe a disposizione per affrontare i temi sul tappeto sono troppo limitate e, dall'altro, il balletto delle cifre determina un quadro francamente incomprensibile per il Paese tutto». Dopo aver ricordato la «drammatica emergenza sociale ereditata» e le «sciagurate politiche del governo Berlusconi», nella lettera si chiede che «le questioni siano affrontate di petto: a partire dalla lotta alla precarietà attraverso il superamento della Legge 30, dalla definizione di un serio intervento di edilizia pubblica, dal rilancio della ricerca scientifica alla abolizione dell'iniquo scalone sulle pensione». «La questione sicurezza che attraversa il Paese - proseguono i ministri - deve essere affrontata prima di tutto con la ricostruzione di un sistema di sicurezza sociale e ambientale». «La redistribuzione delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale - puntualizzano ancora - deve essere netto e inequivoco, non acconsentendo a quelle richieste di riduzione del debito a tappe forzate che provocherebbero solo danni al paese, sia sul piano sociale che economico». «Ti chiediamo quindi di imprimere al confronto con le parti sociali la necessaria svolta capace di rispondere positivamente alle ragioni che ci hanno portato a vincere la sfida elettorale dell'anno scorso».
Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi concludono avvertendo che sono nettamente contrari ad una «frettolosa ratifica» del Dpef, e chiedono a Prodi che gli venga mandato il testo un «congruo numero» di giorni prima della data prevista per la sua approvazione. La lettera dei quattro ministri al presidente del Consiglio sul Dpef è stata scritta dopo un vertice, convocato venerdì mattina al ministero degli Affari Sociali, a cui hanno partecipato tutti gli esponenti della sinistra radicale al governo. Oltre agli autori della missiva erano presenti alla riunione quasi tutti i sottosegretari e vice-ministri dell'ala «massimalista» tra i quali Alfiero Grandi, Patrizia Sentinelli, Laura Marchetti, Paolo Cento, Chiara Acciarini, Rosa Rinaldi e Danielle Mazzonis e quindi sarebbe inutile l'eventuale tentativo, da parte della stampa amica, di voler minimizzare l'accaduto dato che in questo caso ci troviamo dinanzi ad una vero e proprio lacerante bivio politico. Insomma se non siamo all'avviso di sfratto poco ci manca.
Prodi ha due possibilità: o accetta di sottomettersi al radicalismo ideologico della sinistra oppure si dimette, esce di scena, e consente finalmente agli italiani di scegliere da chi farsi realmente rappresentare. La prossima lettera di cui sentiremo parlare sarà quella di dimissioni di Romano Prodi oppure la voglia di restare al potere farà ingoiare questo ennesimo boccone amaro?

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