martedì 19 giugno 2007

Giù le mani dalla legge Biagi


di Antonio Maglietta - 19 giugno 2007


Un Governo oramai allo sbando e senza un briciolo di consenso nel Paese sta cercando di lasciare uno sgradevole «segno» negativo nel panorama del diritto del lavoro. Tanto per citare qualche numero significativo, un sondaggio della Cgia di Mestre, condotto su un campione di 600 piccoli imprenditori, ha rilevato che il 62,9% degli intervistati voterebbe per il centrodestra. Il principale motivo del malcontento nei confronti del Governo è costituito dagli studi di settore: per il 44,5% degli intervistati sono uno strumento destinato a punire gli autonomi. Ma non è solo la politica economica a preoccupare gli artigiani del Nord Est. Sempre secondo il sondaggio, nessuna delle 11 azioni dell'esecutivo nominate nella rilevazione (liberalizzazioni, politica estera, politica industriale, lavoro, scuola, sanità, federalismo fiscale, fisco, immigrazione, etc.), sarebbe degna della sufficienza. Agli ultimi posti del gradimento la politica dell'immigrazione, con 4,3 di media e la politica fiscale, voto 4,1.
A proposito di fisco, l'85,9% degli intervistati ritiene che con il governo Prodi la pressione sul fronte delle tasse sia notevolmente aumentata e a farne le spese sarebbero proprio i piccoli imprenditori. Il 53% ritiene l'esecutivo di centro sinistra sia inadeguato a fare le riforme e chiede addirittura nuove elezioni, il 28%, invece, sogna un governo tecnico. Secca anche la risposta all'ultima domanda del sondaggio: «Se si votasse domani (martedì 19 ndr), a chi darebbe il suo voto?». Ecco i risultati delle ipotetiche elezioni in Nord Est: 62,9% centrodestra, 11,9% centro sinistra, 26% né l'uno né l'altro.
Insomma i numeri parlano chiaro e quest'ultimo sondaggio non fa altro che confermare i precedenti: i consensi ma anche la credibilità dell'Esecutivo retto da Romano Prodi registrano un record negativo dietro l'altro. Nonostante l'inarrestabile crollo verticale il governo ha però deciso di voler lasciare comunque un segno tangibile (negativo) nell'ordinamento. «Nell'Unione c'è un programma che ho contribuito a scrivere, che prevede modifiche alla legge Biagi. Continueremo su questa strada. Le modifiche riguardano la cancellazione delle forme più estreme di precarizzazione, come lo staff leasing». Così si esprimeva solo qualche giorno fa il ministro Cesare Damiano. Ma le dichiarazioni del ministro del Lavoro non sono che la punta di un iceberg, una delle tante esternazioni ideologiche dettate da una rinnovata spinta «statalista» dovuta al sempre più crescente peso che riveste l'area cosiddetta radicale all'interno delle dinamiche politiche del centrosinistra.
Dalle pagine del Corriere della Sera, il professor Pietro Ichino, lunedì scorso, ha smascherato la cieca furia ideologica con cui certa sinistra si sta scagliando contro la legge Biagi. Ichino nota che nel fenomeno dell'aumento del lavoro precario «non esiste alcuna evidenza di una responsabilità» della disciplina del contratto a termine, che non è contenuta nella legge Biagi, bensì in un decreto legislativo di due anni precedente (n. 368/2001). «La realtà è che l'aumento del lavoro precario ha incominciato a manifestarsi fin dagli anni '70 ed è continuato ininterrottamente fino alla fine degli anni '90, per poi arrestarsi proprio negli anni della penultima legislatura. Questo è riconosciuto anche in un libro scritto prevalentemente da sociologi ed economisti di sinistra, di cui il ministro Damiano e il presidente della Commissione lavoro del Senato Tiziano Treu hanno scritto una laudativa prefazione» (La legge Biagi. Anatomia di una riforma, Editori Riuniti, 2006).
Ichino cita a proposito un saggio dell'economista Gianni Principe in cui si legge: «Se stiamo ai dati Istat sulla diffusione del lavoro a termine, il 2001 non ha segnato nessuna svolta, ma piuttosto un momento di declino; inoltre il divario dalla media europea (...) appare di una certa consistenza (circa cinque punti in meno), da cui si potrebbe dedurre che abbiano ragione quanti oppongono alle teorie sulla precarizzazione la constatazione rassicurante di una buona capacità di tenuta del nostro sistema di norme a protezione dei lavoratori». E ancora Ichino cita il contributo del sociologo Aris Accornero, «molto vicino alla Cgil»: «Un esame più analitico (...) non sembra indicare la riforma come causa diretta del calo di rapporti stabili emerso nelle previsioni 2005».
In difesa della legge Biagi interviene anche l'illustre esperto e studioso del mercato del lavoro e dei sistemi previdenziali Giuliano Cazzola, secondo cui il job on call e lo staff leasing sono «molto utili ai lavoratori perché regolano rapporti che altrimenti sarebbero in nero o in totale precariato. E' una sciocchezza nonché una cattiveria sopprimerle». «La legge Biagi - continua Cazzola - si prende delle colpe che non ha, sulle collaborazioni (già introdotte dalla gestione separata dell'Inps), sui contratti a termine, sul lavoro interinale (previsto nel pacchetto Treu)». «La legge Biagi - precisa l'ex sindacalista della Cgil - può essere accusata di aver cercato di normalizzare forme di confine del mercato, ma non di averle introdotte». Tra le proposte del governo, anche il nuovo aumento dei contributi previdenziali per i parasubordinati, che con l'ultima Finanziaria sono passati dal 18 al 23,5 per cento: «Sono contrario - dice Cazzola - all'aumento dell'aliquota: ha fatto perdere 80 mila posti di lavoro. Nel bilancio dell'Inps, approvato prima della Finanziaria alla voce lavoratori parasubordinati si leggeva 30 mila in più. Ora nell'aggiornamento, che adegua il bilancio alle norme della Finanziaria si legge, alla stessa voce, 80 mila posti in meno».
In conclusione ci si chiede: ma può un governo come quello di Romano Prodi, che passerà alla storia come l'Esecutivo dei record negativi, mettere le mani su una legge, la Biagi, che invece macina una record positivo dietro l'altro?

1 commento:

Loud ha detto...

Non voglio dilungarmi troppo, essendomi già espresso sul mio blog e su BlogGoverno a più riprese; ti linko direttamente il mio ultimo post:
Treu-Biagi: oggi vince la riforma del 2003. Le modifiche future? Probabilmente solo ideologiche e nessuna centrarà il vero bersaglio.

Un po' drastico forse, ma questo è quanto porto nel mio breve bagaglio culturale e professionale. Almeno oggi la penso così.
Rimango comunque dell'idea che il Co.Co.Co. fosse più adatto del Co.Pro. per determinate figure professionali cui non può applicarsi alcun progetto per il tipo di mansioni svolte, ma rimango convinto che sia lodevole aver tentato di assestare il mercato cercando di applicare un contratto "precario" (comunemente considerato) laddove via sia un progetto piuttosto che a chiunque senza distinzione.
Il problema rimane l'abuso, adesso come prima.
Ecco perché credo che il bersaglio sia un altro (vedi post linkato).

Ah, tutto ciò ferma restando l'assurdità giuridica del Job sharing e l'inadeguatezza del Job on call... Ma questo è un altro paio di maniche ;)

Saluti,
LL

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