giovedì 13 gennaio 2011

Maglietta:«Referendum. Comunque vada, Cgil sconfitta e divisa»


Il Predellino intervista Antonio Maglietta, studioso delle tematiche relative al mondo del lavoro. Cresciuto alla “scuola” di don Gianni Baget Bozzo, Maglietta affronta con noi i temi più caldi: disoccupazione giovanile, referendum a Mirafiori e futuro della Cgil.

di Tina Colombo

Come giudica gli ultimi dati Istat sulla disoccupazione?
Uno scenario con luci e ombre. I dati positivi sono la sostanziale stabilità della disoccupazione in un quadro di crisi economica mondiale, il dato medio italiano (8,7%) più basso di quello europeo (10,1%), il lieve aumento degli occupati dovuto soprattutto alla componente femminile della forza lavoro nazionale. Il dato negativo è quello della disoccupazione giovanile che si consolida soprattutto nel Mezzogiorno. Si tratta senza dubbio di una delle più grandi criticità di carattere storico, insieme al basso tasso di occupazione delle donne, cui il governo deve fare necessariamente fronte.

Che cosa dovrebbe fare questo governo per combattere la piaga della disoccupazione giovanile?
Muoversi su due piani come ha già fato: su quello della protezione sociale e su quello delle politiche attive. Va dato atto a questo governo di aver creato una breccia nell’iniquo welfare state italiano con l’introduzione degli ammortizzatori sociali in deroga che hanno dato protezione sociale a tanti giovani che ne erano sprovvisti. E’ vero anche che c’è ancora tanto da fare su questo tema ma almeno è stata messa la prima pietra.
Sul fronte delle politiche attive non c’è dubbio che bisognerà continuare con la strada già intrapresa e cioè investire sulle competenze attraverso il pieno rilancio dell’apprendistato e la formazione professionale. Ovviamente non mi riferisco a quel tipo di formazione che riempie solo le tasche dei formatori e non le menti dei formati.

La questione Fiat sembra essere senza fine. Prima la vicenda dello stabilimento di Pomigliano e ora quello di Mirafiori. Come si fa a uscire da questo confronto-scontro, che va avanti da qualche tempo e sembra non avere mai fine, tra la dirigenza dello stabilimento torinese, che chiede un cambio di passo nel modello di produzione, e chi afferma che così sarebbero negati i diritti fondamentali ai lavoratori?
Se ne esce con il dialogo tra la Fiat e i sindacati responsabili e dando la parola ai lavoratori. A Pomigliano i lavoratori di quello stabilimento hanno deciso sul loro futuro e ora lo faranno anche quelli di Mirafiori. Tutto questo avviene in un quadro generale in cui la competizione nel mercato globale impone cambiamenti nel modello di produzione e anche nelle relazioni industriali. Un’azienda come la Fiat, che opera su scale globale, se vuole restare competitiva è obbligata a incrementare la produttività. E’ ovvio poi che questa necessità si debba necessariamente coniugare con la difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori. Non c’è altra strada.

In un paese come l’Italia, restio ai cambiamenti, sarà possibile raggiungere il giusto equilibrio tra l’incremento della produttività e la salvaguardia dei diritti dei lavoratori?
Con l'adozione nel 2009 della nuova piattaforma contrattuale, che valorizza la contrattazione decentrata, sia essa territoriale o aziendale, sindacati e parti datoriali si sono assunti maggiore responsabilità nel definire insieme il futuro delle aziende italiane. La vicenda dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco è stata rilevante a riguardo e ha dimostrato come sia possibile mantenere siti industriali sul territorio italiano, premiando adeguatamente gli incrementi di produttività, senza intaccare i diritti fondamentali dei lavoratori.
E’ vero che ci sono forze, come ad esempio la Cgil, che sono restie a questi cambiamenti. E’ anche vero però che ce ne sono di più, sia nel mondo del sindacato sia nelle dirigenze delle imprese italiane, che hanno capito che questa è l’unica strada per non essere stritolati dalla competizione sul mercato globale. L’alternativa è la chiusura degli stabilimenti e la disoccupazione.

Lei ha citato la Cgil come forza contraria al cambiamento. Come giudica questa posizione?
E’ un sindacato isolato, che ha posizioni rispettabili ma certamente non condivisibili e che è anche diviso al suo interno. Non credo, infatti, che le posizioni della Fiom siano condivise da tutte le componenti dell’organizzazione. L’attività dei sindacati si manifesta essenzialmente attraverso la contrattazione. Lo sciopero è una forma di lotta cui si arriva in casi eccezionali, solo dopo aver tentato tutte le possibili forme di dialogo. Insomma l’ordinaria amministrazione dovrebbe essere il confronto con le rappresentanze datoriali e la firma dei migliori accordi possibili. Ci si siede a un tavolo con la controparte, si tratta e si arriva a un accordo, tenendo conto di quale sarebbe il quadro alternativo in caso di mancata firma. La Cgil è un sindacato che da molto tempo, in solitudine, non firma accordi e, quindi, viene meno a quella che dovrebbe essere la sua attività principale. Se tutti gli altri sindacati facessero come loro, avremmo aziende chiuse e lavoratori a spasso.

13 gennaio 2011

FONTE

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