mercoledì 24 marzo 2010

Arbitrato e licenziamenti. La sinistra solleva il solito polverone


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

mercoledì 17 marzo 2010

Nei giorni scorsi si è alzato un inutile polverone nel dibattito pubblico su alcune disposizioni contenute nel disegno di legge 1167-B, approvato definitivamente dal Senato il 3 marzo. In particolare, le polemiche hanno investito gli articoli 30 (Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro) e 31 (Conciliazione e arbitrato) del testo. In sostanza, parte dell'opposizione di sinistra e la Cgil, peraltro isolata dal resto del mondo sindacale confederale, hanno accusato il governo e la maggioranza parlamentare di voler aggirare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori attraverso l'arbitrato, che, di fatto, diventerebbe obbligatorio e, secondo loro, permetterebbe di licenziare con un semplice rimborso economico, evitando in questo modo il reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati.

Tralasciando il tema dell'utilità o meno dell'articolo 18 ai fini della salvaguardia concreta e non solo sulla carta dei diritti dei lavoratori, su cui prima o poi si dovrà aprire un dibattito pubblico sereno e scevro da dogmi e pregiudizi, vanno preliminarmente dette alcune cose fondamentali per chiarire come stanno veramente le cose e sgombrare il campo da ogni dubbio.

L'11 marzo scorso le parti sociali, eccetto la Cgil, hanno siglato una dichiarazione comune sull'arbitrato per escludere che la clausola compromissoria all'atto dell'assunzione sia applicata alla risoluzione del rapporto di lavoro, cioè ai licenziamenti. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha affermato che «il governo rispetterà nei propri eventuali atti la posizione espressa dalle parti, secondo la quale la clausola compromissoria all'atto dell'assunzione non possa riguardare la risoluzione del rapporto di lavoro». Nella sostanza, il ministro ha assicurato che se entro un anno - periodo previsto per l'entrata in vigore delle nuove norme - non fosse trovato un altro accordo tra le parti, in ogni caso l'arbitrato sarà escluso tra le possibilità per il giudizio sui licenziamenti al momento dell'assunzione di un dipendente. Sacconi ha inoltre detto di «apprezzare e condividere» la dichiarazione comune delle parti sociali, sottolineando la fiducia espressa dalle stesse «nella convenienza dell'arbitrato tanto per le imprese quanto per i lavoratori».

Per quanto riguarda il merito della questione, chi oggi urla in maniera scomposta contro l'arbitrato dovrebbe spiegare con quale altro strumento intende tutelare il lavoratore, visto che abbiamo una giustizia che risponde, nel migliore dei casi (pochi a dire il vero), in almeno 3 o 4 anni, rispedendo peraltro in una posizione indebolita nelle dinamiche aziendali. E dovrebbe dire perché vuole ostinatamente bloccare uno strumento utile come l'arbitrato in materia di controversie di lavoro, visto che questa tematica abbraccia non solo i licenziamenti ma anche, ad esempio, la richiesta di riconoscimenti di qualifiche salariali o i trasferimenti.

Per quanto concerne il metodo della vicenda, non può non far pensare a una strategia mirata il fatto che, nei due anni in cui si è svolto l'iter parlamentare del provvedimento in questione, coloro che oggi gridano alla lesa maestà dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non hanno mai aperto bocca, salvo svegliarsi alla vigilia di un importante passaggio elettorale. Le motivazioni per cui qualcuno da sinistra ha sollevato un inutile polverone sul tema, chiare anche al più distratto osservatore dei fatti di questo paese, sono solo ed esclusivamente di natura politica e di visibilità sindacale. Qualcuno, noncurante dell'interesse collettivo, che dovrebbe essere quello di semplificare le norme in materia di lavoro non comprimendo i diritti dei lavoratori, ha pensato bene di fare lo strillone per cercare di raccattare un po' di consensi in vista delle elezioni regionali. Qualcun altro, invece, che per statuto dovrebbe fare gli interessi dei lavoratori, ha voluto fare un po' di polemica politica spicciola e, per non farsi mancare proprio niente, ha colto la palla al balzo per distinguersi, per l'ennesima volta, dalla linea moderata e concreta seguita dalla stragrande maggioranza dei sindacati, decidendo che per un po' di pubblicità in più vale la pena mettersi sempre di traverso, a prescindere dalla bontà o meno dei provvedimenti.

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