mercoledì 16 dicembre 2009

Lo Statuto delle imprese. Intervista all'onorevole Raffaello Vignali


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 14 dicembre 2009


Raffaello Vignali è nato a Bologna il 10 aprile 1963. Laureato con lode in Filosofia, con una tesi su cristianesimo e ideologia, ha iniziato a svolgere attività di ricerca e di didattica presso il Dipartimento di Sociologia (Facoltà di Scienze Politiche) dell'Università di Bologna. Nel 1997 è stato chiamato all'IReR (Istituto Regionale di ricerca della Lombardia), diventandone, dal 1998 al 2004, Direttore generale. Dal settembre 2004 a marzo 2008 è stato Presidente della Compagnia delle Opere, associazione di piccole e medie imprese e realtà non profit. Nel 2004 ha partecipato come fondatore alla costituzione di CDO Jerusalem. Dal 2000 al 2003 è stato membro del Consiglio di Amministrazione dell'Università degli Studi di Milano Bicocca; dal 2004 al 2007 membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione AVSI (Associazione volontari per il servizio internazionale, ONG); dal 2003 al 2007 membro del Comitato Scientifico della Fondazione Politecnico di Milano e dal 2002 al 2008 membro del Consiglio di Amministrazione della Casa Editrice Marietti. Nel 2002 ha partecipato alla costituzione della Fondazione per la Sussidiarietà, di cui è stato Vice Presidente fino al 2005. Il 13 aprile 2008 è stato eletto alla Camera dei Deputati con il Popolo della Libertà e da maggio 2008 è Vice Presidente della Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera dei Deputati.

La Camera ha licenziato il testo relativo alle disposizioni sulla commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri. Che cosa prevede questo provvedimento per la tutela del made in Italy?

È un provvedimento importante, volto ad assicurare la tracciabilità dei prodotti di questi settori, in modo da tutelare i consumatori sotto il profilo dell'informazione sul processo di lavorazione e sulla sicurezza dei prodotti medesimi, dando quindi al consumatore la possibilità di distinguere il prodotto che sia stato realizzato in Italia. Non è dunque un provvedimento protezionistico ma, al contrario, un intervento che garantisce una reale concorrenza. È pure una importante sfida che l'Italia lancia all'Unione Europea: in quella sede combattiamo da anni perché tutte le merci importate dall'esterno della UE indichino chiaramente provenienza e lavorazione. Infine è anche il riconoscimento delle centinaia di migliaia di micro, piccoli e medi imprenditori che non hanno preso la via - facile - della delocalizzazione per abbassare il costo del lavoro, ma che hanno scelto di puntare sulla qualità per affrontare la competizione globale.

A suo avviso sono possibili nel prossimo futuro interventi legislativi a favore degli altri settori non toccati da questo provvedimento?

Certamente sì. Questo sul tessile e calzaturiero è una «nave rompighiaccio», un cuneo nella normativa italiana ed europea. Ma, come ho affermato nella dichiarazione di voto per il gruppo del Pdl, siamo ancora solo all'inizio. Tanti altri settori aspettano provvedimenti analoghi: mobile, arredo, complementi d'arredo, ecc... Inoltre dobbiamo attivare strumenti efficaci per contrastare la contraffazione, che si fa anche sul territorio italiano, con l'utilizzo del lavoro clandestino e minorile. L'unanimità, registrata tanto in Commissione quanto in Aula è di ottimo auspicio. Se poi mi è concessa una considerazione più ampia, vorrei sottolineare che con questo provvedimento abbiamo fatto anche «cultura parlamentare»: la centralità del Parlamento non sta infatti nella possibilità di bloccare pretestuosamente i provvedimenti del Governo, ma nell'approvare le leggi di iniziativa parlamentare, come questa, che servono per il bene comune.

Secondo il Censis l'Italia ha resistito meglio alla crisi economica perché la finanza non ha vinto sull'economia reale. Quale è il suo parere a riguardo?

Non solo non ha vinto la finanza, ma non hanno vinto nemmeno i guru nostrani ed esteri dell'economia (consulenti e professori) che, negli anni scorsi, hanno demonizzato il sistema economico italiano, definendolo arretrato e anomalo (mentre anomala era la finanza creativa!), quelli che accusavano le nostre imprese di nanismo e familismo, come fossero dei tumori... economici! Siamo il Paese con il più alto tasso di imprenditori al mondo, siamo una delle sette maggiori potenze industriali mondiali, abbiamo retto alla globalizzazione quando i guru ci davano per morti. C'è, nelle nostre imprese, un'innovazione sommersa, tanto reale quanto invisibile. C'è anche l'hi-tech. E poi, dall'incrocio tra le lavorazioni tradizionali e le nuove tecnologie pervasive (ICT, nanotecnologie, materiali innovativi) possiamo ricavare la crescita per i prossimi decenni. Ma, soprattutto, è a partire dall'impeto dei nostri piccoli (ma grandissimi!) imprenditori che possiamo guardare con fiducia la ripresa.

Parliamo di piccole e medie imprese e banche. Il 3 agosto 2009 il Ministro dell'Economia e delle Finanze, il Presidente dell'ABI e le Associazioni dei rappresentanti delle imprese hanno firmato un Avviso comune per la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio, con l'obiettivo di dare respiro finanziario alle imprese aventi adeguate prospettive economiche e in grado di provare la continuità aziendale. Secondo il presidente dell'ABI è necessario un corretto orientamento delle politiche fiscali e di regolamentazione affinché il sistema bancario possa svolgere in maniera sempre più ampia la sua funzione di supporto all'economia reale. Qual è la sua opinione in materia?

Sono d'accordo, ma con alcune sottolineature. La prima è sulle regole: servono regole nuove, non «più regole» nell'accezione quantitativa. Prendiamo Basilea2. È insufficiente: non possiamo ridurre il valore di un'impresa al suo bilancio, sarebbe come valutare una persona basandosi solo sul suo scheletro. Se l'impresa del futuro è quella del capitale umano, la valutazione deve tornare ad essere basata su questo, non sui numeri. Dico tornare perché da noi, prima di Basilea2, è stato quasi sempre questo il sistema. Se non ci fossero stati migliaia di «ragionier Bianchi» a dirigere le filiali delle nostre banche, capaci di dare credito (nel senso di fiducia) alle persone e di erogare loro il credito (cioè i soldi), non avremmo avuto il miracolo italiano. Anche le banche devono riprendere la loro funzione costitutiva: dare credito. Sulle politiche fiscali bene ha fatto il Governo in Finanziaria a premiare fiscalmente le banche che hanno aderito alla moratoria, perché significa premiare il merito. Ma occorre anche intervenire fiscalmente sulle imprese, perché sia favorita la loro capitalizzazione.

Lei è il promotore di un progetto di legge sullo Statuto delle Imprese. Il testo è stato firmato da altri 130 parlamentari ed ha riscosso l'approvazione da parte delle associazioni di rappresentanza e dal sistema delle Camere di Commercio. Di che cosa si tratta?

A quarant'anni dallo Statuto dei lavoratori, è giunta l'ora di riconoscere un corpus di diritti a chi, fino ad ora, ha avuto solo doveri: le imprese. Lo Statuto introduce nell'ordinamento, per la prima volta, diritti delle imprese verso le Amministrazioni statali e verso il Fisco; prevede una serie di interventi di semplificazione ad ogni livello per le PMI, sulla base dello Small Business Act dell'Unione Europea; semplifica l'avvio delle nuove imprese eliminando per i primi cinque anni ogni fardello burocratico (in pratica valgono solo Codice civile e Codice penale) e fiscale. Insomma, se sei un Bill Gates e vuoi aprire l'impresa nel garage, puoi farlo senza che vengano l'ASL o l'ARPA o i Vigili a soffocare il tuo embrione di azienda! Inoltre lo Statuto prevede la costituzione di un'Agenzia per le PMI e di una Commissione bicamerale che valuti - anticipatamente - l'impatto di norme e regolamenti sulle PMI, prevedendo oneri minori e tempi di adeguamento più lunghi. In sostanza, si chiede che in questi casi non si parta da norme pensate sulle grandi imprese (che sono, purtroppo, appena lo 0,3% del totale) ma dalle piccole. Dal punto di vista culturale, lo Statuto opera una rivoluzione copernicana: non si parte dal sospetto verso la persona e la sua libera iniziativa, ma dalla fiducia verso chi, ogni giorno, con il suo impegno, la sua responsabilità e il suo sacrificio, contribuisce a creare il PIL e l'occupazione nel nostro Paese. Anche in economia dobbiamo sostenere il popolo della libertà.

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