venerdì 20 giugno 2008

Immigrati: segnali confortanti dall'Europa



di Antonio Maglietta - 20 giugno 2008

Approvando con 369 voti favorevoli, 197 contrari e 106 astensioni la relazione di Manfred Weber del Ppe, il Parlamento europeo ha adottato la direttiva che stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio dei clandestini. La direttiva, che si applica nei confronti dei cittadini di paesi terzi in posizione irregolare nel territorio di uno Stato membro, incoraggia il ritorno «volontario», stabilisce la durata massima di detenzione (18 mesi), che attualmente è illimitata in alcuni Stati membri, definisce degli standard minimi comuni da garantire per le condizioni di vita, fra cui il diritto all'assistenza medica e all'istruzione dei bambini e impone il rispetto del principio del non-refoulement (consiste nel il divieto del rimpatrio forzato di persone dove queste rischiano persecuzioni; rientra nell'ambito del diritto internazionale consuetudinario. Nessun governo può quindi espellere una persona in tali circostanze. Si tratta di un principio già sancito dall'articolo 33 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Rifugiati del 1951: «Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche»).

Il testo prevede, inoltre, talune garanzie e la possibilità di ricorso a favore delle persone espulse, per evitare rimpatri arbitrari o collettivi (fermo restando che le espulsioni collettive sono già vietate dall'art. 4, Protocollo Addizionale n. 4 della Convenzione europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, oltre che dall'art. 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea. In Italia la Corte di Cassazione si è comunque già espressa sui limiti di tale divieto con la sentenza n. 16571/2005. Una persona espulsa, inoltre, potrebbe vedersi imporre un periodo di «divieto di reingresso» di massimo 5 anni (in Italia già esiste ed è estendibile fino a 10 anni). La direttiva sottolinea, peraltro, la necessità di accordi comunitari e bilaterali di riammissione con i paesi terzi, poiché la cooperazione internazionale con i paesi d'origine in tutte le fasi della procedura di rimpatrio viene definita «la condizione preliminare per un rimpatrio sostenibile».

La direttiva dovrà ora avere l'ultimo via libera formale dai ministri degli Interni e della Giustizia, che si riuniranno a luglio, ed entrerà in vigore a breve. Gli Stati Ue avranno, quindi, due anni di tempo per recepirla nella loro legislazione nazionale. Il Ministro Roberto Maroni ha già affermato che proporrà l'immediato recepimento da parte dell'Italia. Il provvedimento del Governo Berlusconi, che prevede per i clandestini non identificati un periodo di fermo fino a 18 mesi nei Cpt, trova sostanzialmente conferma, quindi, nelle scelte decise in ambito comunitario ed ora sarebbe troppo facile ricordare e criticare gli strali dell'opposizione, che al momento del varo del testo aveva parlato di norme liberticide e contrarie al diritto comunitario. Secondo l'ex ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, «la direttiva sui rimpatri è sbagliata e prefigura un'Europa razzista che considera i clandestini alla stregua di criminali». Una affermazione che denota in maniera del tutto evidente i limiti di certa sinistra, che vede nelle regole un problema a prescindere; quasi come se il loro rispetto sia una facoltà legata a varianti sociali ed economiche e non, invece, un obbligo per tutti, nessuno escluso.

L'Ue, comunque, con questa direttiva, oltre ad armonizzare le normative degli Stati membri, per combattere il fenomeno dell'immigrazione clandestina indica la via preferenziale, e non ancora esplorata, dei «rimpatri volontari» attraverso incentivi e, inoltre, l'uso degli strumenti dell'espulsione e della detenzione prolungata come dei deterrenti più che come atti repressivi duri e puri. Un mix di interventi, quindi, che, nel rispetto dei diritti fondamentali, si pone come una piattaforma totalmente alternativa alla politica del «porte aperte per tutti» e dell'uso distorto dell'immigrazione come facile strumento compensativo dei deficit nazionali in materia di competitività nel mercato globale. Ovviamente non si tratta di una bacchetta magica che risolverà tutti i problemi ma certamente di un mezzo in più per migliorare in maniera razionale il sistema degli ingressi e delle uscite degli stranieri.

Antonio Maglietta

mercoledì 18 giugno 2008

La tentazione barricadera dell'opposizione

di Antonio Maglietta – 18 giugno 2008

In molti si chiedono, soprattutto dopo la vittoria schiacciante del PdL nelle ultime elezioni amministrative in Sicilia, cosa farà l’opposizione parlamentare per dare un segno di vitalità. E’ chiaro che la cosiddetta via barricadera è una tentazione sempre più forte visti i risultati deludenti delle urne e l’apatia dell’elettorato di riferimento del centrosinistra, che sembra quasi aver metabolizzato l’abitudine alla sconfitta. La via del conflitto aperto con la maggioranza è la strada più semplice per una opposizione in evidente difficoltà. Il modus operandi di Di Pietro ne è la prova. L’ex pm scalpita e strepita, come se fosse stato morso da una tarantola, al passaggio di qualsiasi atto in Parlamento. Figuriamoci, poi, cosa succederà quando arriveranno alla Camera dei Deputati i testi sulla sicurezza: la sceneggiata è assicurata. Ma si tratta solo di polveroni alzati ad arte per attirare l’attenzione dei media e dell’elettorato di centrosinistra duro e puro e non di contributi che mirano a migliorare, seppur dal lato dell’opposizione, lo status quo dei cittadini. E’ evidente che Di Pietro ci marcia come fa tutto il network degli antiberlusconiani militanti. Quelli per cui qualsiasi cosa faccia il premier non va bene a prescindere perché il male è all’origine: la sua stessa presenza sul palcoscenico della politica italiana. Per loro il voto, il cosiddetto bagno elettorale, il fatto che il centrodestra abbia stravinto le ultime elezioni politiche e amministrative, è un semplice passaggio secondario. E ancor di più lo è il fatto che il governo Berlusconi tenga fede al proprio programma elettorale. Infatti queste persone pensano e agiscono nella convinzione di essere una ristretta elite culturale illuminata, al cui confronto l’elettore medio italiano è, nel migliore dei casi, e soprattutto ora in cui il centrodestra stravince nelle urne, un ignorante lobotizzato dalla televisione. Non si capacitano del fatto che il loro verbo, dato in pasto ai poveri cittadini con pomposi editoriali o sketch da cabaret, non faccia effetto sulle masse. In realtà questa loro superbia li porta a disprezzare la gente comune e ad ignorare le loro richieste e forse questo è proprio uno dei motivi per cui lo scollamento nel centrosinistra tra elettorato e classe dirigente si è tramutato da semplice crepa in un vero e proprio abisso. Esempi? L’ottusità nel ripetere che l’insicurezza diffusa è poco più di una paranoia ingiustificata; il rimanere fermi su posizioni da figli dei fiori su questioni come lo smaltimento dei rifiuti, l’alta velocità e l’approvvigionamento energetico; l’ostinazione ad appiattirsi sulle posizioni del partito dei giudici sulle intercettazioni invasive, che limitano la privacy di ognuno di noi senza alcun beneficio per la lotta al crimine, e di contro essere molli nel contrasto alla microcriminalità, ancora vista come un semplice sfogo del malessere sociale e non anche come una inaccettabile minaccia alla sfera della libertà delle persone, oramai costrette a non sentirsi sicure neanche a casa propria o nel quartiere natio. Quando Veltroni decise di dare un volto nuovo al Pd forse aveva in mente tutte queste cose. Ritornare a tambur battente sulla scia di un passato che tutti conosciamo, anche alla luce del fallimento del governo Prodi, non sarebbe stata una buona idea. Ed infatti va dato atto all’ex sindaco di Roma che lo scatto in avanti era qualcosa di più di una necessità: era un vero e proprio progetto politico. Ora però si trova ad un bivio e deve scegliere. Proprio lui a cui i critici più feroci imputano un difetto assoluto, l’indecisionismo cronico. Oggi che il Pd è in netta difficoltà la scelta è tanto semplice quanto decisiva per la vita politica di questo Paese: o la via pacata e moderata o quella barricadera. In pratica o puntare con decisione ad una opposizione anglosassone, critica ma anche ragionevolmente propositiva, ed uscire così dal pantano da cui non riusciamo a venir fuori da quindici anni a questa parte, oppure dare definitivamente le chiavi del centrosinistra nostrano a tutto il circo Barnum dei forcaioli e giustizialisti, agli antitaliani che si nascondono dietro la comoda maschera degli antiberlusconiani.

mercoledì 11 giugno 2008

Immigrati: l'approccio ideologico di Epifani


di Antonio Maglietta - 10 giugno 2008

La popolazione «migrante a livello globale» ha superato i 200 milioni, «con una quota di migrazione irregolare o illegale stimata nell'ordine del 15-20% (cioè 30-40 milioni)», mentre «cresce in percentuale il numero delle donne migranti» che costituiscono ormai «la quota maggioritaria nelle migrazioni internazionali (51%) ma purtroppo anche oltre l'80% delle vittime di tratta degli esseri umani (600.000-800.000 stimate in tutto il mondo)». E' quanto sottolinea il Rapporto sui diritti globali 2008, presentato lunedì nella sede della Cgil nazionale. Nella prefazione al Rapporto, Guglielmo Epifani ha affermato senza alcun fondamento nella realtà dei fatti che «comincia a prendere corpo un'idea xenofoba» nei confronti degli immigrati «che vengono percepiti più come una minaccia, piuttosto che come risorsa». Il leader sindacale, infatti, ha giudicato così «i riflessi politici» legati allo «spostamento a destra della maggioranza dell'elettorato».

Un attacco, quello di Epifani, che, basandosi su una analisi molto ideologica e poco realistica, fa certo capire che il leader della Cgil ha forse tutta l'intenzione di ritagliarsi un ruolo di oppositore politico duro e puro, quasi a viso aperto, e non più solo da soggetto sindacale «politicizzato» in maniera velata. Le statistiche sui lavoratori extracomunitari, ricorda Epifani, dimostrano «come la presenza di manodopera straniera in Italia non sia influente sul tasso di occupazione dei lavoratori italiani, svolgendo essi attività prevalentemente di basso profilo professionale, alle quali è sempre interessata la manodopera italiana». «Malgrado questo - aggiunge - solo l'idea che gli stranieri possano sottrarre ai nostri connazionali una parte anche minima di opportunità occupazionali e di interventi assistenziali prevale sulla pur indiscussa necessità del nostro Paese di avvalersi degli immigrati in settori dove questi stanno diventando indispensabili per garantire la produzione e i servizi alla famiglia. Si pensi - conclude Epifani - all'agricoltura, alle industrie del Nord-Est e all'immenso lavoro di cura che svolgono le cosiddette badanti».

Ma viene da chiedersi: ma chi ha mai detto che gli stranieri in quanto tali sono un pericolo? Ma veramente a sinistra immaginano un centrodestra così arido e sprovveduto nell'analisi del fenomeno «immigrazione»? Varrebbe la pena ricordare che se a sinistra si vorrebbe aprire la porta a tutti, come dimostrano le tesi di alcuni ex ministri del governo di centrosinistra che spingevano per la regolarizzazione indiscriminata di tutti coloro che erano stati tagliati fuori dalle quote dell'ultimo decreto flussi (circa 600.000 persone), nell'ambito del centrodestra si è cercato di dare una risposta quanto più razionale possibile al problema. Infatti la questione è molto più intricata della semplice demarcazione tra regolari ed irregolari perché investe, come ricorda lo stesso Epifani, anche tematiche molto più complesse come le modalità di accesso dei regolari al mercato del lavoro ed i loro effetti sul sistema nel medio-lungo periodo. Il leader della Cgil dice che gli immigrati, spesso poco qualificati, ad oggi sono indispensabili per garantire la produzione in settori come l'agricoltura e l'industria ma anche per i servizi alla famiglia. Verissimo. Si dimentica però di fare una aggiunta e cioè che la manodopera di bassa qualifica di molti immigrati viene spesso usata per essere competitivi sul mercato globale e che ricorrere a questo sistema di produzione, anziché investire risorse nello sviluppo tecnologico e nel miglioramento della qualità del lavoro, significa allontanarsi dai modelli produttivi avanzati ed avvicinarsi a quelli dei paesi in via di sviluppo. Nel medio-lungo periodo, lo straniero regolare sottopagato dovrà ricorrere, come fanno i suoi pari italiani, alla camera di compensazione degli interventi assistenziali garantiti dallo Stato, allargando sempre più la fascia povera della società e frammentando all'infinito le risorse a disposizione. Questo crea un doppio problema: l'immigrato regolare, magari sfuggito nel proprio Paese da una situazione disperata, si ritrova nel nostro a vivere in una condizione ai limiti della sussistenza; l'italiano, da parte sua, invece, pur se a torto, incomincia a vedere nell'immigrato un problema perché la sua presenza, aggiunta a quella degli altri sottopagati italiani, riduce la sua porzione di servizi sociali garantita dallo Stato.

I problemi legati al fenomeno dell'immigrazione di massa si creano, quindi, proprio a causa delle politiche puramente ideologiche alla Epifani. Non si può pensare che l'Italia debba sopperire ai propri problemi di competitività sul mercato globale attingendo a piene mani nell'immigrazione con bassa qualifica professionale e, quindi, puntando ai bassi livelli salariali anziché ai modelli di sviluppo propri dei paesi occidentali. E' così che, distruggendo il welfare state ed il sistema produttivo nazionale, si arriva a danneggiare tutti: gli stessi immigrati ed i cittadini italiani. Sarebbe più logico, invece, puntare sul miglioramento della qualità del lavoro e sullo sviluppo tecnologico, oltre che sulla cooperazione con i paesi da dove arriva il maggior flusso di immigrati, magari facendo intervenire sempre più l'Ue e non limitarsi, quindi, ai pur sempre buoni rapporti bilaterali.

Antonio Maglietta

lunedì 9 giugno 2008

Chi detta la linea nell'opposizione?


di Antonio Maglietta - 7 giugno 2008

Chi detta oggi la linea dell'opposizione parlamentare? Di Pietro o Veltroni? Quando Veltroni imbarcò Di Pietro in campagna elettorale, già allora in molti segnalarono che la scelta avrebbe portato pochi benefici nel presente, e cioè solo qualche punto di distacco in meno rispetto all'alleanza PdL-Lega Nord-Mpa, ma non certo la vittoria, e tantissimi problemi per il futuro. Di Pietro, in ogni uscita pubblica, ha sempre ribadito la sua fedeltà all'alleanza con il Partito Democratico, ma non si comprende cosa avrebbe potuto fare di diverso visto che uno smarcamento da Veltroni, allo stato attuale delle cose, sarebbe fatale per il suo partito ad personam. Al di fuori del chiacchiericcio propagandistico dato in pasto ai media, Di Pietro, forse, è il primo a rendersi conto dell'enorme difficoltà che comporta il porsi come obiettivo, nel medio lungo periodo, quello di dover superare ad ogni elezione una soglia di sbarramento per entrare in Parlamento, ricorrendo sistematicamente, poi, allo strumento degli «atteggiamenti eclatanti» per accendere i fari dei media e sollecitare l'attenzione dell'opinione pubblica. Rischierebbe, prima o poi, di fare la fine dei partiti della sinistra antagonista. Molto più semplice per lui l'alleanza elettorale con il Pd (che permette di abbassare notevolmente lo sbarramento elettorale) e poi, una volta in Parlamento, la corsa in solitudine per marcare comunque le differenze politiche con il partito di Veltroni.

I problemi per il Pd sono nati sin da subito. Era stato detto in campagna elettorale che Pd ed IdV avrebbero formato un unico gruppo parlamentare. Pronti via ed ecco che subito, ad inizio Legislatura, per motivi di cassa e di visibilità, l'Italia dei Valori si è smarcata creando un gruppo autonomo. Ma questo alla fine, pur se rilevante, sarebbe solo un problema di natura formale, e non sostanziale, se non fosse che non solo sono diversi i gruppi in Parlamento ma, alla fine dei conti, anche i programmi. Infatti il Pd ha declinato 12 punti, dei veri e propri disegni di legge, e [link="http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/elezioni/index.php " ext]Di Pietro[/link], invece, 11 che nulla hanno a che fare con la piattaforma programmatica del Pd. Non solo differenze relative a questioni di forma ma anche, a quanto pare allora, di numeri e sostanza. Ma non è tutto qui.

Appena il Parlamento ha iniziato a discutere i primi provvedimenti è apparso subito evidente che il gruppo di Di Pietro, indipendentemente dal merito del testo in esame, aveva voglia di buttarla in rissa mentre il Pd è rimasto impantanato tra la voglia di aprire una nuova fase dialogante con la controparte politica e quella di non lasciare troppo spazio a Di Pietro sulle c.d. «posizioni barricadere». Al momento, quindi, il partito di Veltroni sta inseguendo malvolentieri l'IdV su alcune iniziative parlamentari ostruzionistiche (pur se con diversi apprezzabili distinguo), che hanno come unico scopo quello di conquistare la maggiore visibilità possibile dinanzi agli occhi dell'opinione pubblica: strillo ergo sum. Il partito di Di Pietro, infatti, soprattutto dopo l'uscita dalle aule parlamentari delle forze della sinistra antagonista, ha tutto l'interesse ad accreditarsi dinanzi agli italiani come ultimo e unico interprete parlamentare dell'antiberlusconismo viscerale ed oltranzista. Veltroni, invece, no. La sua leadership è stata contraddistinta da una linea oggettivamente innovativa nel panorama del centrosinistra italiano. Non più barricate insensate ma, nel pieno rispetto dei ruoli e delle differenze, dialogo con la controparte politica e, magari, condivisione di alcune questioni di interesse nazionale.

Con questa nuova linea, profondamente differente rispetto all'Unione prodiana che si alimentava con l'antiberlusconismo, l'ex sindaco di Roma è riuscito a creare sulla carta un moderno partito di centrosinistra che oggi rappresenta un italiano su tre. Un patrimonio che non si può disperdere inseguendo le posizioni oltranziste di Di Pietro che rappresentano un passato che già conosciamo. E allora forse è arrivato il momento nell'opposizione parlamentare di porre fine alla gestione monopolistica di Di Pietro e di far emergere in pieno, nell'interesse di tutti gli italiani, quel nuovo corso che era stato promesso in campagna elettorale

Antonio Maglietta

giovedì 5 giugno 2008

Immigrazione: il Governo si muove mentre gli altri fanno solo polemiche



di Antonio Maglietta - 5 giugno 2008

Nei giorni scorsi, in maniera del tutto immotivata, sono sorte alcune polemiche sulla prossima introduzione, nel nostro ordinamento, di una serie di norme per combattere il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Come se in Italia ci fossero o si volessero comunque promulgare delle leggi estranee allo spirito che ispira le norme di specie degli altri paesi europei. Innanzitutto va detto che il provvedimento non è ancora operativo ed è contenuto in un disegno di legge del governo. E non a caso l'esecutivo ha scelto di inserire la norma in un disegno di legge e non in un decreto, facendo peraltro benissimo, proprio perché l'introduzione di nuove disposizioni di carattere penale nell'ordinamento è sempre un passaggio delicato per il quale è auspicabile il «bagno» parlamentare preventivo rispetto all'immediata operatività della norma.

Il reato di immigrazione clandestina non è certo una novità nel panorama europeo, visto che, seppur con alcune differenze da paese a paese, è già una realtà in Francia, Germania, Regno Unito e Svezia. Guarda caso, i paesi che, insieme a Spagna e Italia, sono quelli con il più alto tasso di immigrati in Europa. In Francia, non l'ingresso ma la permanenza irregolare è punita con il carcere fino ad un anno e con una multa che può arrivare a 3.750 euro, oltre al divieto di reingresso nel paese per tre anni, mentre nel Regno Unito, ad esempio, l'ingresso illegale è punito con un'ammenda o con la reclusione per non più di sei mesi, o con entrambi a seconda dei casi. Insomma, il reato di immigrazione clandestina non è certo una novità in Europa e, anzi, è già uno degli strumenti usati dai paesi più interessati dal fenomeno dell'immigrazione di massa, con l'idea che sia uno dei mezzi a disposizione per meglio regolare gli ingressi e marcare sempre più i confini tra regolari ed irregolari. Una questione fondamentale per coniugare sicurezza ed integrazione, visto che la clandestinità, come segnalato da tutti gli ultimi studi e rilevamenti statistici (vedere ad esempio l'ultimo Rapporto annuale dell'Istat), porta inevitabilmente con sé, per diversi motivi, un tasso di criminalità enormemente maggiore rispetto alla condizione di regolarità (la media dei reati commessi da questi ultimi è la stessa di quella degli italiani).

Ma da chi sono venuti gli attacchi più sorprendenti? «In Europa politiche repressive, come atteggiamenti xenofobi e intolleranti, contro l'immigrazione irregolare e minoranze indesiderate costituiscono grave preoccupazione. Esempi di queste politiche e di questi atteggiamenti sono rappresentati dalla recente decisione del governo italiano di criminalizzare l'immigrazione illegale e dai recenti attacchi contro insediamenti rom a Napoli e Milano» ha detto lunedì Louise Arbour, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani in un discorso al Consiglio dell'Onu sui diritti umani a Ginevra. Che cosa si intende per «politiche repressive»? Forse che il reato di immigrazione clandestina in Francia, Germania, Regno Unito e Svezia sia un segno di intolleranza e xenofobia dei governi di questi paesi, visto che in Italia il provvedimento non è ancora operativo? Insomma, con tutto il rispetto per le istituzioni internazionali, dobbiamo tenere bene a mente che l'Italia non è certo un paese a sovranità limitata, come ha precisato il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto.

Quanto alle parole del presidente Berlusconi («Il Parlamento è sovrano, deciderà secondo coscienza e secondo buonsenso. La mia personale visione è che non si possa pensare di perseguire qualcuno per una permanenza non regolare nel nostro paese, arrivando a condannarlo per questo reato con una pena. Invece, questa situazione della clandestinità può essere un aggravante nei confronti di chi commette reati previsti come tali dal Codice penale»), era chiaro sin dall'inizio l'intento del premier di voler sottolineare la sovranità del parlamento in materia e, soprattutto, come ha affermato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, la volontà di «ribadire che non c'è nessun intendimento di voler perseguire penalmente l'immigrato che cerca accoglienza e lavoro, sottolineando, invece, la volontà del governo di perseguire i clandestini che vengono in Italia per delinquere».

L'altra questione fondamentale è che, puntando i fari sulla sola disposizione relativa al reato di immigrazione clandestina, si perde di vista l'organicità dell'intervento governativo, che prevede, oltre al già citato disegno di legge, anche un decreto-legge e ben tre decreti legislativi, dove ad esempio si interviene nell'ambito dei ricongiungimenti familiari onde evitare un uso distorto dello strumento, oppure in materia di soggiorno dei cittadini comunitari dove vengono imposte le iscrizioni anagrafiche e stabiliti criteri aggiuntivi per le valutazioni da porre a base dei provvedimenti di allontanamento dei cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza, tra i quali quelli attinenti alla moralità pubblica ed al buon costume.

Antonio Maglietta
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