giovedì 30 agosto 2007

Precariato: numeri e propaganda


di Antonio Maglietta - 21 agosto 2007


La sinistra, in preda ad un'inarrestabile crisi di consensi e credibilità, è alla disperata ricerca di nuovi totem ideologici in grado di creare il giusto appeal per le nuove classi sociali «proletarie», figlie della globalizzazione e della modernizzazione. In questo contesto, far proprie le tematiche relative al fenomeno del precariato potrebbe diventare la chiave di volta per superare la crisi. Il tema, se ben alimentato nel mito e, soprattutto, se ancor meglio cavalcato attraverso proposte demagogiche che, a detta dei guru della sinistra, porterebbero alla sua eliminazione, potrebbe diventare il nuovo generatore di consensi politici, soprattutto tra i giovani. L'ambiente in cui muoversi è sempre lo stesso: il mondo del lavoro. I temi dello scontro anche: ci sono pochi padroni che per avidità sfruttano le masse (ieri proletari, oggi, invece, giovani e precari) e lo Stato non solo è inerte nel privato, ma addirittura è connivente, vista la presenza del fenomeno anche nel settore pubblico. Inoltre il precariato investe un valore sociale fondante della sinistra: l'uguaglianza. Insomma, ci sono tutti i presupposti affinché il precariato diventi il nuovo tema forte da cavalcare in chiave politica.
Ma quali sono le cifre? Partiamo con il dettaglio del settore pubblico. Secondo il conto annuale 2005 della Ragioneria Generale dello Stato, nel totale del pubblico impiego si contano:
Lavoro a tempo indeterminato: 3.369.493 lavoratori con un contratto a tempo indeterminato;
Lavoro non a tempo indeterminato:
124.283 lavoratori con un contratto a tempo determinato;
9.067 lavoratori interinali;
34.459 lavoratori socialmente utili (lsu);
4.786 lavoratori con contratto di formazione lavoro.
Secondo l'ispettore generale della Ragioneria Generale dello Stato, Giuseppe Lucibello, a questi dati bisogna aggiungere circa 200 mila cosiddetti «precari storici» della scuola (con «storici» si intendono i docenti inseriti nelle graduatorie per concorsi e titoli e quelli delle graduatorie permanenti della legge n. 124 del 1999, che sono comunque soggetti in possesso di abilitazione, o perché hanno conseguito l'idoneità in base a una procedura concorsuale nelle scuole speciali - cosiddette SIS - o in analoghi istituti). Insomma, nel totale del pubblico impiego, stando ai dati ufficiali, si contano circa 350 mila lavoratori flessibili, con un tasso d'incidenza, sull'intero settore pubblico, inferiore al 10%.
In generale (pubblico e privato), secondo gli ultimi dati dell'Istat (19 giugno 2007), i lavoratori dipendenti con contratto a termine sono 2.126.000 su un totale di 22.846.000, con un tasso d'incidenza del 9,3% (rimasto invariato nel trimestre 2007 rispetto a quello dell'anno precedente). Va aggiunto che le cifre menzionate si riferiscono genericamente al lavoro flessibile e che, in tutto il globo terrestre, all'equazione flessibile=precario credono solo i comunisti nostrani (lo stesso ministro del Lavoro, il diessino Cesare Damiano, ha candidamente ammesso che esiste la «buona flessibilità»). Questo significa che quelle citate non sono le cifre del precariato, ma che i numeri del fenomeno vanno ricercati all'interno di quei dati. Per un'analisi dettagliata occorrono altri fattori che potremmo chiamare «elementi d'insicurezza». Secondo il presidente dell'Istat, Luigi Biggeri, tali elementi s'identificano nella mancanza di continuità nella partecipazione al mercato del lavoro e alla conseguente mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita nel presente e nel futuro. Insomma, i numeri del precariato, in generale, vanno ricercati all'interno del dato Istat che parla di 2.126.000 contratti a termine su un totale di circa 23 milioni di lavoratori (tasso d'incidenza 9,3%).
E' chiaro, quindi, che l'allarmismo della sinistra non trova riscontro nella realtà dai fatti. Il problema precariato esiste, ma va inquadrato come fenomeno circoscritto e non come allarme sociale. La tanta vituperata (a sinistra) legge Biagi, mettendo regole e garantendo diritti laddove prima non c'erano e sottraendo quindi prezioso terreno al lavoro nero e all'illegalità, ha rappresentato un argine a difesa dei lavoratori più deboli e, in generale, al dilagare del precariato. La sinistra, invece, puntando tutto sulle sanatorie assistenzialiste (nel pubblico impiego con la Finanziaria 2007) e sull'irrigidimento dei contratti (nel privato con il protocollo sul welfare, da tradurre in legge in autunno) sbaglia totalmente l'obiettivo, danneggiando ulteriormente i cittadini, che già si sono visti mettere le mani in tasca dal governo Prodi per finanziare pseudo-iniziative sociali dannose ed improduttive.

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