giovedì 30 agosto 2007

Il Mezzogiorno è vivo


di Antonio Maglietta - 30 agosto 2007


Nel Mezzogiorno il 25% dei laureati meridionali a tre anni dal termine degli studi trova lavoro con canali «informali», contro il 12% dei colleghi che si sono trasferiti al Nord. E nonostante la conquista del titolo di studio, la mobilità sociale resta scarsa: nel periodo in esame, sul totale degli occupati, il 72% al Sud non hanno modificato il proprio status, contro il 61% del Centro-Nord. Lo rilevano le anticipazioni di uno studio di Margherita Scarlato che sarà pubblicato sul prossimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno). Nonostante il conseguimento di un titolo di studio superiore, nella ricerca di un posto di lavoro al Sud a farla da padrona restano la conoscenza diretta, la segnalazione da parte di parenti e conoscenti o la prosecuzione di un'attività familiare già esistente. Nel 2004 (ultimi dati disponibili) è stato forte anche il numero di coloro che sono ricorsi ai concorsi pubblici (15%), mentre trovare lavoro con il collocamento pubblico e privato è servito solo a un'estrema minoranza: rispettivamente 1,7 e 2,3%.
Nel Sud, infatti, laurearsi è importante, si legge nello studio, ma «se si proviene dalla famiglia "giusta", non solo perchè ricca ma pure perchè inserita in un reticolo di rapporti sociali». Per le famiglie dei ceti sociali più bassi l'investimento negli studi universitari è rischioso. «La laurea riduce il rischio che lo studente resti disoccupato, ma non riduce il rischio di trovare un'occupazione mal retribuita». Lo dimostra il fatto che i giovani meridionali nel Centro-Nord ottengono spesso condizioni contrattuali peggiori di quelle conseguite da coloro che restano nel Mezzogiorno. Il 60,3% dei laureati meridionali che lavorano al Centro-Nord, a tre anni dalla laurea, sono impiegati con un contratto a tempo determinato e lo 0,9% lavora senza contratto a fronte del 41,7% e dello 0,3% dei laureati e occupati nel Mezzogiorno. A livello regionale, i laureati meridionali più fortunati abitano in Sardegna, con il 64% degli occupati che nel 2004 avevano studiato e trovato lavoro in regione, a fronte di una media (riferita sempre al Mezzogiorno) del 53,6%. I più sfortunati in Molise, con solo il 39,9% degli occupati. I meridionali laureati al Centro-Nord presentano tassi di occupazione assai elevati, con un minimo del 69,1% in Calabria e un massimo dell'83,9% in Abruzzo e Sicilia.
Insomma, si tratta di uno studio (attendiamo comunque la pubblicazione integrale) con nuove luci e vecchie ombre (l'alta incidenza del collocamento formato «spintarella»). Parliamo delle nuove luci. L'incidenza del lavoro nero sul totale dei giovani occupati neolaureati del Sud è pari allo 0,9% al Nord ed allo 0,3% nel Mezzogiorno. Insomma un'inezia. Questo significa, inoltre, che la stragrande maggioranza del «lavoro nero», piaga sociale endemica del mondo del lavoro italiano in generale, si concentra pressoché totalmente nei lavori poco qualificati o, in ogni caso, riguarda i lavoratori senza laurea e quindi con un minor potere contrattuale.
Altro dato che vale la pena di sottolineare con forza, forse il più importante, è che finalmente si parla di qualità del lavoro dei giovani del Sud e non di disoccupazione. Meglio un contratto a termine di un lavoro nero o, peggio ancora, della disoccupazione. Queste due ultime realtà sono i veri elementi di precarietà della realtà giovanile. Inoltre, se al primo impiego è alta l'incidenza del lavoro atipico, diversi studi, anche specifici sui neolaureati come quello del IX Rapporto AlmaLaurea («a cinque anni dalla laurea sono stabili 31 laureati su cento nel pubblico contro 72 nel privato»), ci dicono che la stabilità non è una chimera. Insomma, i primi dati trapelati sullo studio condotto dalla Svimez ci dicono che il Sud è vivo e vegeto e non ha bisogno dell'assistenzialismo statale che tanti danni ha fatto in passato.

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