giovedì 30 agosto 2007

Autunno caldo: l'età pensionabile delle donne


di Antonio Maglietta - 25 agosto 2007


Dopo la chiusura dell'accordo a livello politico e sindacale sul tema del welfare, e la sottoscrizione del relativo protocollo del 23 luglio scorso, Romano Prodi ha tirato un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Mai come in quei giorni di fine luglio il suo Governo è sembrato una barca alla deriva pronta a schiantarsi sugli scogli. Il pericolo, per ora, è scampato, anche se è lo stesso Prodi il primo a sapere che la materia resta incandescente per tanti motivi; se non altro perché quella unione di intenti registrata a fine luglio, già sgretolatasi sotto i colpi della sinistra radicale, ora dovrà essere tramutata in legge in autunno, probabilmente all'interno della prossima Finanziaria.
Sono tanti i problemi rimasti irrisolti, e sui quali la sinistra radicale ha promesso battaglia in Parlamento ed un fantomatico referendum da promuovere all'interno del suo elettorato di riferimento: lo scalone Maroni sostituito con tanti scalini, la lista dei lavori usuranti, i contratti a termine, l'abolizione della legge Biagi. Sul primo punto è bene ricordare che una delle ipotesi al vaglio dei tecnici del ministero dell'Economia, per trovare la copertura finanziaria per il superamento dello scalone, era l'innalzamento dell'età pensionabile per le donne o, addirittura, una sua equiparazione con quella degli uomini. L'ipotesi, come sappiamo, è tramontata e la soluzione è stata un'altra. Tuttavia è passato inosservato un ricorso (Causa C-46/07) presentato il 1º febbraio 2007 dalla Commissione delle Comunità europee alla Corte di Giustizia (rappresentanti: L. Pignataro-Nolin e M. van Beek, agenti) contro la Repubblica italiana. Un ricorso che, qualora andasse a buon fine, avrebbe effetti devastanti per gli equilibri politici del centrosinistra.
La Commissione ritiene che il regime pensionistico gestito dall'Inpdap (Istituto Nazionale della Previdenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica) costituisca un regime professionale discriminatorio contrario all'art. 141 CE, dal momento che prevede come età pensionabile generale per gli uomini 65 anni e per le donne 60. Ex art. 141 del Trattato CE:
1. Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo.
La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica:
a) che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura;
b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro.
3. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
4. Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali.
La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, mantenendo una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a ricevere la pensione di vecchiaia ad età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana ha mancato agli obblighi di cui all'articolo 141 CE (e pertanto condannare la Repubblica italiana al pagamento delle spese di giudizio). Se l'Italia sarà condannata, e quindi invitata a conformarsi alla decisione della Corte, cosa farà il governo Prodi? Aumenterà l'età pensionabile delle donne, portandola allo stesso livello di quella degli uomini, e provocare così le ire della sinistra radicale, che ai richiami giurisprudenziali di Bruxelles e dintorni (la Corte ha sede in Lussemburgo) preferisce, ancora, quelli ideologici dell'Avana? Deciderà di aprire un contenzioso con la Commissione, rischiando di subire l'apertura di una procedura d'infrazione, per restare attaccato alla poltrona (sempre se sarà ancora in sella...)? Inutile aspettarsi scelte di buon senso. Fino ad ora ha prevalso l'ideologia regressista della sinistra radicale e l'interesse di bottega o di «Botteghino».

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