martedì 7 febbraio 2012

Il posto fisso è un’illusione come il mutuo senza il posto fisso

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 07 febbraio 2012

Negli ultimi giorni si è infiammato il dibattito su alcune dichiarazione rilasciate da autorevoli esponenti del Governo in materia di lavoro giovanile, ma sarebbe opportuno parlare anche di disoccupazione giovanile, viste le non esaltanti statistiche a riguardo nel nostro paese. Ha iniziato il premier Mario Monti («che monotonia il posto fisso. I giovani si abituino a cambiare»), ha continuato il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, («Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà. Il mondo sta cambiando») e ha concluso, per ora, il ministro del lavoro, Elsa Fornero, («Non si può promettere un posto fisso, chi oggi lo promette promette facili illusioni»). Anni fa era stato lo scomparso ex ministro dell’economia del governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, a dare uno scappellotto ai giovani italiani con la mitica frase sul «Mandiamo i bamboccioni fuori di casa».

Facciamo il punto della situazione. I giovani italiani, a detta di chi li governa o li ha governati in passato, sono dei bamboccioni da mandare fuori di casa che vogliono il posto fisso vicino ai genitori e che per maturare dovrebbero mettersi in testa, finalmente, che il posto fisso non c’è più e che se c’è è monotono. Guardiamo i freddi numeri. Il numero dei «senza posto fisso» in Italia supera i 2,7 milioni di persone (somma tra i 2,364 milioni di dipendenti a tempo determinato e le 385 mila persone con contratto di collaborazione). Il 46,7% dei dipendenti sotto i 25 anni è a termine. Nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni questo dato si abbassa al 18%, fino ad arrivare all’8% per chi supera i 35 anni (nello specifico 8,3% tra i 35-54 anni e 6,3% tra gli over 55). Tutto questo al netto di situazioni particolari come ad esempio le discusse partite iva con mono-committente, dove di solito si cela un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.

Questi numeri ci dicono due cose: una negativa e cioè che la flessibilità si scarica solo sui giovani, e una positiva, ossia che, con il passare degli anni lavorativi in genere, ma sempre meno spesso, la situazione migliora. E questi sono i dati di chi lavora. L’altro aspetto storicamente negativo del nostro mercato del lavoro è l’alto tasso di disoccupazione degli under 25 (oggi quasi un giovane su tre è senza lavoro). La realtà fotografata dai dati scientifici porta il tema del dibattito, quindi, su tutto un altro piano. I problemi da risolvere non sono certo, o comunque non solo, di carattere culturale, ma sono molto più pratici. Chi, tra i ragazzi e le ragazze di questo paese, pensa ancora di avere la cosiddetta «pappa pronta», o vive una realtà familiare in grado di dargliela o deve ancora fare i conti con la dura realtà. Al di fuori di queste due situazioni, oggi le richieste che arrivano dalla stragrande maggioranza dei giovani italiani sono altre e tra queste non c’è certamente l’avere il cosiddetto «posto fisso» come quello dei loro genitori.

Le rivendicazioni riguardano l’allargamento dei canali di ingresso nel mercato del lavoro, la continuità nello svolgere una attività lavorativa, una certa stabilità e la possibilità di accesso al credito. Chiedere continuità e stabilità non vuol dire sognare il vecchio «posto fisso», ma pretendere un sistema più equo in materia di tutele, riformando l’attuale sistema duale in vigore nel nostro ordinamento e abbattendo il muro di iniquità che separa oggi i giovani, che di tutele ne hanno poche o nulle, e tutti gli altri che, invece, sono super-garantiti. Premessa la difficoltà di trovare un lavoro, tanto per intenderci, è equo un sistema che prevede all’interno dello stesso mercato due tipi di tutele (reale e obbligataria), meccanismi di prestazioni a sostegno del reddito e calcolo della pensione che penalizzano i giovani e l’impossibilità di accedere al credito (mutui o prestiti) per chi non ha il vecchio posto fisso? Per essere concreti: che cosa si vuole fare con l’inutile monolite dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che, a detta di numerosi esperti, bloccherebbe molte assunzioni nelle piccole imprese? Lasciarlo così com’è, abolirlo, alzare la soglia, aggirarlo con l’arbitrato? E con le prestazioni a sostegno del reddito che penalizzano i giovani? E come coniugare la continuità nel versamento dei contributi pensionistici previso da un sistema come quello attuale, dove quanto versi tanto avrai, con la mancanza di stabilità? E, ancora, quale soluzione si offre a tutti i giovani che non possono chiedere mutui e prestiti perché non hanno un contratto a tempo indeterminato?

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