lunedì 9 gennaio 2012

No al salario minimo, no alla paghetta dello Stato


di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
lunedì 09 gennaio 2012

Discutere sulle ipotesi di riforma del mercato del lavoro è sempre un esercizio difficile e quanto mai affascinante sia per la complessità dell’argomento sia perché in Italia, quando si tocca questo tema, si va a sbattere spesso in più di un tabù. Partiamo citando alcuni dati recenti, per capire la situazione attuale e l’andamento di alcuni indicatori, prima ancora di citare e valutare le dichiarazioni degli esponenti di spicco delle nostre istituzioni su questo argomento.

Secondo il rapporto Methods Used for Seeking Work dell’Eurostat, in Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro (76,9% contro una media europea del 68,9%) si affidano a un intermediario che può essere un amico, un parente o anche un sindacato. Solo la Spagna, la Grecia e l’Irlanda rilevano percentuali superiori alle nostre. Sempre secondo l’istituto di statistica europeo, la percentuale dei disoccupati nel nostro paese (dati aggiornati a novembre 2011) è pari all’8,6%. Si tratta di un dato sostanzialmente in linea con quello della Gran Bretagna (8,3% aggiornato a settembre 2011), inferiore alla media dell’Europa a 27 (9,8%), e dell’area euro (10,3%), e a quello di grandi paesi come la Francia (9,8%) e la Spagna (22,9%). Solo la Germania fa molto meglio di noi tra i grandi paesi (5,5%).

Per quanto riguarda, invece, la disoccupazione giovanile (con riferimento agli under 25), il nostro dato (30,1%) è tra i peggiori del vecchio continente sia con riferimento alla media dell’Europa a 27 (22,3%) e dell’area euro (21,7%) sia ai dati dei paesi più grandi come Gran Bretagna (22%, dato aggiornato a settembre 2011), Germania (8,1%) e Francia (23,8%). Peggio di noi fa solo la Spagna (49,6%). Secondo gli ultimi dati dell’Istat, aggiornati a novembre 2011, il tasso di occupazione femminile (pari al 46,2%) è in calo nel confronto con il mese precedente di 0,4 punti percentuali e di 0,3 punti in termini tendenziali.

In merito ad altri indicatori fondamentali nell’ambito della discussione sul mercato del lavoro, secondo l’Inps si registra una diminuzione, sia congiunturale che tendenziale, delle ore autorizzate di cigs (cassa integrazione straordinaria), di cigd (cassa integrazione in deroga) e di cigo (cassa integrazione ordinaria), una contrazione delle domande di mobilità e un lieve aumento di quelle di disoccupazione. Tutti questi dati ci ricordano, come sempre, che i problemi principali del nostro welfare sono l’alta percentuale di disoccupazione dei giovani, la bassa percentuale di occupazione delle donne e l’equità degli ammortizzatori sociali. Il premier Mario Monti ha recentemente affermato che niente debba essere tabù in una discussione tra forze mature e civili come sono i sindacati e le forze produttive. Ben venga, quindi, la volontà del nuovo Esecutivo di dare importanza più alla sostanza che ai pre-concetti su certi argomenti.

Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha recentemente proposto l’introduzione di un salario minimo, specie per i giovani. Con tutta la buona volontà, non sembra essere questa la strada giusta da seguire. Il nostro mercato del lavoro, come dimostrano anche i dati più recenti, ha bisogno di essere sempre più aperto per i giovani e le donne. Occorrono, quindi, più canali di ingresso (non solo parenti, amici o sindacati) e maggiori opportunità formative (retribuite adeguatamente e non solo fittizie per coprire veri e propri lavori). Oggi la maggior parte dei giovani ha voglia di entrare a pieno titolo nel mercato del lavoro, di confrontarsi, di cumulare esperienze, di lottare e non certo di ricevere forme di reddito assistenziale che, magari, rappresenterebbero un semplice contentino per continuare a galleggiare nella solita zona grigia tra disoccupazione, lavoro nero e basse retribuzioni.

Le nuove generazioni non hanno bisogno della paghetta dello Stato, ma della possibilità di essere soggetti attivi e tutelati nel mercato del lavoro. E’ questo il punto. Se un giovane non riesce ad avere continuità nella propria attività professionale e a percepire un reddito adeguato rispetto alle prestazioni svolte, come potrà avere accesso al credito o pagarsi la pensione con il sistema contributivo dove, giustamente, quanto versi tanto avrai? Il salario minimo risolve questi problemi? Certamento no. Ecco perché questa proposta non va assolutamente bene. Secondo l’ex ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, «la regolazione dei contratti di lavoro deve muovere dal riconoscimento dell'apprendistato come modalità tipica per l'ingresso nel mercato del lavoro e deve considerare la modulazione degli orari di lavoro come un modo attraverso il quale lavoratori e datori di lavoro si adattano reciprocamente». E ancora:«la contrattazione aziendale, recentemente amplificata nelle sue capacità dall'articolo 8 della manovra estiva, può concorrere a regolare i rapporti di lavoro in modo da accrescere la produttività, sperimentare deroghe limitate, sviluppare forme di welfare complementare per i lavoratori e le loro famiglie, attrarre investimenti nelle aree più difficili. Più le parti si rendono disponibili ad accordi di prossimità, più il legislatore può contenere la propria iniziativa».

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