martedì 24 gennaio 2012

Modernizzare con coraggio il mercato del lavoro

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 24 gennaio 2012

Il ministro del Lavoro Elsa Fornero, durante l’incontro tra il governo e le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro e delle prestazioni a sostegno del reddito, ha illustrato un documento composto da 5 capitoli: tipologie contrattuali, formazione, apprendistato, flessibilità, ammortizzatori sociali e servizi per il lavoro. Al termine dei lavori il ministro non ha consegnato il documento finale, precisando che vi lavorerà ancora tenendo conto delle proposte pervenute.
A riguardo, in mancanza di un testo preciso sul quale confrontarsi, si possono fare almeno due considerazioni: una sul metodo e un altra sul merito della questione.

Innanzitutto, la prospettiva della presentazione di un disegno di legge sul lavoro, al posto di un provvedimento d`urgenza, sembra indicare l’adozione di due pesi e due misure da parte del Governo nei suoi rapporti sia con le forze politiche sia con quelle sociali. Se fino ad ora il governo si è mosso in materie molto delicate, toccando gli interessi di quello che ipoteticamente dovrebbe essere il blocco sociale che fa riferimento al centrodestra, attraverso l’uso dello strumento della decretazione d’urgenza, non si capisce bene per quale motivo non si dovrebbe fare lo stesso anche in questa situazione.
Il mantenimento della pax negli equilibri tra Cgil e Partito Democratico (il sindacato rosso preme per non riformare il mercato del lavoro mettendo in difficoltà il Pd) non rappresenta un motivo valido per dilatare a dismisura i tempi di approvazione di un provvedimento in materia di lavoro. Il Governo, peraltro, come sottolineato in modo bipartisan dai deputati Cazzola (PdL) e Damiano (Pd), ha a disposizione una norma di deroga in materia molto ampia e completa, aperta fino a novembre (articolo 46 della Legge n.183 del 2010, il cosiddetto ‘collegato lavoro’).
L'Esecutivo, quindi, ha già tutti gli strumenti necessari per affidare ai decreti legislativi attuativi i contenuti delle eventuali intese realizzate, senza dover ricorrere a un nuovo provvedimento legislativo ad hoc che rischierebbe di dilatare i tempi. La norma in questione è la stessa già contenuta nella Legge n. 247 del 2007 che ha dato attuazione al cosiddetto Protocollo sul welfare.
Insomma il Governo se ne infischi dei rapporti tra Cgil e Pd, come già ha fatto con il rapporto PdL-categorie professionali, e modernizzi celermente il mercato del lavoro.

Per quanto riguardo il merito, invece, come ha ricordato anche il senatore Maurizio Sacconi, ex ministro del lavoro, bisogna partire dal presupposto che il Governo non potrà che seguire in linea di principio l’agenda europea e coniugare la migliore protezione economica e professionale dei lavoratori con la più efficiente flessibilità organizzativa delle imprese.
In questa prospettiva, mettere mano all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, un totem ideologico che si applica (poco nella realtà) ad una cerchia ristretta di lavoratori, sembra essere un atto di buon senso che incentiverebbe gli ingressi nel mercato del lavoro soprattutto delle nuove generazioni. Già oggi esiste un sistema duale in cui ad alcuni lavoratori si applica una tutela più forte (quella dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori) e ad altri quella più debole (ex art. 2 della Legge n. 108 del 1990) se paragonata con la prima.
Oggi nel nostro ordinamento c’è un iniquo e anti-economico sistema duale dove si distingue tra tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento ex art. 18 Legge n. 300 del 1970 nelle aziende sopra i 15 dipendenti) e tutela obbligatoria (riassunzione o risarcimento ex art. 8 Legge n. 604 del 1966, come sostituito dall'art. 2 Legge n. 108 del 1990, nelle aziende sotto i 15 dipendenti). Il problema è l’anomalia tutta italiana del ‘reintegro’ nel posto di lavoro (tutela reale ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori), che è una delle cause delle mancate assunzioni nelle piccole aziende che non vogliono superare la fatidica soglia dei 15 dipendenti. La tutela reale è anti-economica perché in questa fattispecie non si ha un'interruzione né del rapporto di lavoro né di quello assicurativo e previdenziale, così che al lavoratore spettano i contributi anche per il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione e il datore di lavoro non ha alcuna facoltà di scelta (con la riassunzione prevista dalla tutela obbligatoria, invece, al lavoratore non spetta alcun emolumento per il periodo intercorso tra il licenziamento e il rientro in azienda e si instaura un nuovo rapporto di lavoro).
E’ ovvio che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non è l’unico problema del nostro mercato del lavoro e incentrare tutte le discussioni in questo ambito potrebbe far perdere di vista una più ampia visione della questione. Altri punti dolenti, infatti, sono le problematiche relative gli ingressi nel mercato del lavoro, il sistema degli ammortizzatori sociali e la precarietà. Sui primi due punti il governo Monti si potrà comunque avvalere di due atti importanti del precedente esecutivo Berlusconi: l’accordo tra Stato, Regioni e parti sociali in materia di apprendistato e le intese tra Stato e Regioni in materia di ammortizzatori sociali e di correlate politiche attive per il lavoro. Quanto all’enorme problema del precariato, non si può non rilevare che la panacea di tutti i mali non può ridursi alla ricerca spasmodica della sintesi nel dibattito tutto interno alla sinistra italiana su quale sia la forma migliore di contratto unico.
La pluralità delle forme contrattuali è un'opportunità per rispondere meglio alle esigenze specifiche del mercato del lavoro. Il problema sono gli ammortizzatori sociali e l’introduzione di nuove tutele a favore di chi oggi non le ha, attraverso un processo di riequilibrio con le vecchie tutele, nell’ottica di una riforma organica, sostenibile ed equa dell’attuale sistema. Il ministro Fornero vuole prendere come base di partenza la proposta del senatore Pietro Ichino sul contratto unico (peraltro contestata da parte dello stesso partito in cui è stato eletto Ichino, il Pd, e dalla Cgil)? Bene, potrebbe essere una buona base di partenza per parlare di una vera riforma del mercato del lavoro. Tuttavia lo stesso ministro farebbe bene a non immolarsi sul contratto unico e ad allargare la discussione anche al miglioramento del sistema della pluralità dei contratti che, è bene ricordarlo, ha prodotto risultati positivi fino a prima del consolidamento della crisi economica mondiale.
Il ministro dovrebbe intavolare una discussione, con parità di dignità, sulle proposte in materia di contratto unico e su quelle circa il miglioramento del sistema della pluralità dei contratti, valutando serenamente i pro e i contro. Infine bisogna dire un «no» netto e preciso alla proposta di introdurre un salario minimo che sa tanto di reddito assistenziale, una sorta di contentino per permettere di sopravvivere e continuare a galleggiare nella zona grigia tra lavoro nero, precariato e basse retribuzioni. I giovani non hanno bisogno della paghetta dello Stato ma di entrare a pieno titolo nel mercato del lavoro (con tutti gli onori e gli oneri).

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