mercoledì 21 dicembre 2011

Art. 18, il falso totem dello Statuto dei lavoratori



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
martedì 20 dicembre 2011

Nel dibattito pubblico si è accesa la discussione sulla riforma del mercato del lavoro. Ogni volta che si parla di quest’argomento nel nostro Paese i toni salgono, i nervi diventano tesi e le parole man mano sempre più pesanti.

Tutto è iniziato quando il ministro del lavoro, Elsa Fornero, in un’intervista al Corriere della Sera, ha affermato che bisogna dire basta ai contratti precari e aprire una discussione senza tabù sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, aggiungendo che nel mercato del lavoro i giovani sono «i più penalizzati, insieme alle donne, perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro».

Il giorno dopo l’uscita della Fornero, sempre dalle colonne del quotidiano di via Solferino, è arrivato l’attacco del segretario della Cgil, Susanna Camusso, secondo cui il contratto unico per i giovani proposto dall’attuale ministro del lavoro «sarebbe un nuovo apartheid a danno dei giovani». E ancora: «La precarietà c'è soprattutto nelle piccole aziende, dove non si applica l'articolo 18», che è «una norma di civiltà. Vogliamo superare il dualismo? Lancio una sfida: facciamo costare il lavoro precario di più di quello a tempo indeterminato e scommettiamo che nessuno più dirà che il problema è l'articolo 18?». In questa discussione, ampia e articolata, su un tema peraltro molto spinoso come quello delle riforme in materia di lavoro, occorre essere precisi e mettere qualche punto fermo.

Innanzitutto il primo a proporre l’introduzione del contratto unico nel nostro ordinamento è stato il senatore del Partito Democratico, il professor Pietro Ichino, che non si è limitato solo alle parole ma è passato anche ai fatti, depositando nel 2009 un disegno di legge a Palazzo Madama. Partiamo dal presupposto che nessuno ha intenzione di avallare norme sui cosiddetti licenziamenti selvaggi ma solo bilanciare la flessibilità con le garanzie a tutela dei lavoratori. Aggiungiamo che le tutele dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non si applicano alle aziende sotto i 15 dipendenti.

Già allo stato attuale, senza dilungarci in inutili tecnicismi in materia di tutela reale e tutela obbligatoria, esiste un sistema duale in cui ad alcuni lavoratori si applica una tutela più forte (quella dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori) e ad altri quella più debole (ex art. 2 della Legge n. 108/1990) se paragonata con la prima. Oggi i costi della flessibilità sono tutti a carico dei giovani e delle donne e questa situazione non è più accettabile. Allo stato attuale un giovane che entra nel mercato del lavoro non ha la possibilità di guardare con serenità al proprio futuro perché non ha accesso al credito (nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto in un momento di crisi come questo, le banche chiedono garanti e contratti a tempo indeterminato per erogare prestiti e mutui), non percepisce un reddito in linea con quello dei coetanei europei (il divario tra il reddito di un giovane e quello di una persona più matura in Italia è più ampio di quello esistente in Francia, Germania e Gran Bretagna), nel tempo ha visto eroso il proprio potere di acquisto e se perde il posto di lavoro spesso l’unico ammortizzatore sociale che gli resta è la propria famiglia.

E’ bene capire che chi difende l’attuale sistema contribuisce, consapevolmente o no, a mantenere questa situazione intollerabile. E' bene accetta, quindi, la proposta del ministro Fornero di mettere le mani sulle norme in materia di lavoro per porre fine alle iniquità prendendo come base di partenza della discussione la proposta del senatore Pietro Ichino. Chi alimenta la polemica contro qualsiasi riforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e contro quel testo forse non ha letto bene il disegno di legge nella parte in cui si parla dell'estensione a tutti del trattamento speciale di disoccupazione, pari all'80% dell'ultima retribuzione per il primo anno dopo il licenziamento, e dove tutti avrebbero un contratto tempo indeterminato e le protezioni essenziali, ma nessuno sarebbe inamovibile.

Dove è l’apartheid a danno dei giovani evocata con enfasi da Susanna Camusso in questa prospettiva? E’ evidente che le critiche della Cgil sono infondate e che non ci sarebbe alcuna discriminazione a danno dei giovani e spiace vedere gli altri due sindacati confederali accodarsi su questo punto alle posizioni estremiste della confederazione rossa.

FONTE

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