giovedì 24 novembre 2011

E' giusto adottare lo ius soli?



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
mercoledì 23 novembre 2011

Nel dibattito pubblico, oramai ciclicamente, si discute se sia necessario o meno modificare la normativa nazionale in materia di cittadinanza per introdurre lo ius soli (è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori) in sostituzione dello ius sanguinis. In questa discussione è necessario focalizzare l’attenzione su tre punti strettamente collegati tra loro: la normativa, la volontà dell’individuo, l’identità collettiva.

La normativa. La legislazione italiana si basa principalmente sullo «ius sanguinis» (diritto di sangue): il figlio nato da padre italiano o da madre italiana è italiano. L'acquisto automatico della cittadinanza secondo lo ius soli è limitato solo ad alcuni casi. Altri modi per acquistare la cittadinanza sono la iuris communicatio (trasmissione all´interno della famiglia da un componente all´altro con il matrimonio, il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di filiazione, l’adozione) e la naturalizzazione. Chi nasce in Italia da genitori stranieri non acquista automaticamente la cittadinanza italiana ma mantiene quella dei genitori. Al compimento del 18° anno di età, il cittadino extracomunitario nato in Italia, e sempre regolarmente residente, può chiedere, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di ottenere la cittadinanza italiana. Si tratta, quindi, di una scelta volontaria e non di un automatismo.

La volontà dell’individuo. L'espressa richiesta da parte dello straniero di avviare la procedura prevista dall'attuale normativa, in contrasto con l’ipotesi di acquisizione automatica, trova il suo fondamento nel fatto che, attraverso quest’atto spontaneo ed esplicito, si dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana dopo un reale percorso di integrazione. Non è un atto qualsiasi, ma un passaggio importante per la vita di una persona che sancisce la fine di un processo attraverso il quale l'individuo diventa parte integrante di un sistema sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l'ordine normativo. Introdurre un automatismo (la concessione della cittadinanza per il solo fatto di nascere in Italia) in sostituzione di un atto volontario, trasformerebbe l’individuo nato da genitori stranieri da soggetto attivo, partecipe di una scelta che comunque condizionerà profondamente la sua vita, a passivo, dove altri deciderebbero per lui. Chi nasce in Italia, cresce in Italia, studia in Italia, non è detto che voglia diventare italiano. Magari si sente molto più vicino alla cultura espressa dal luogo di provenienza dei genitori e non vuole la cittadinanza italiana, oppure vive una sorta di inquietudine interiore che non lo fa sentire né italiano né altro e ha bisogno di tempo per decidere, oppure ha maturato la decisione di diventare cittadino italiano. Lo stato d’animo che porta a decidere chi siamo e cosa vogliamo essere non percorre un’unica strada ma è un percorso ad ostacoli pieno di incroci. Se l’individuo nato da genitori stranieri non si sente italiano, secondo quale principio dovremmo concedergli la cittadinanza andando contro la sua volontà?

L’identità collettiva. E’ un concetto che fa riferimento a come l’attore sociale comprende la propria appartenenza e in base a tale comprensione parla di sé come di un noi (noi italiani per esempio). E’ un «io» che si identifica in un «noi». La cittadinanza, in quest’ambito, non è solo la semplice faccia legale dell’identità collettiva ma qualcosa di più profondo. Se non vogliamo distruggere la nostra identità nazionale, occorre guardare alla cittadinanza non solo come a uno «status legale», ma come a «una forma di identificazione, un tipo di identità politica: qualcosa che deve essere costruito e non di empiricamente dato» (cfr. Mouffe Ch., Democratic Citizenship and the Political Community, in Ead., Dimensions of Radical Democracy. Pluralism, Citizenship, Community, London-New York, 1992, pp. 225-239). Per costruire dobbiamo creare delle forme di adesione all’identità collettiva nazionale che siano volontarie e non certo automatiche. Basare la nostra normativa sullo ius soli, quindi, limiterebbe la libertà dell’individuo nato da genitori stranieri di decidere la propria identità legale (relativa alla cittadinanza), renderebbe la cittadinanza un semplice «status legale», e non una forma di identificazione, e annacquerebbe la nostra identità collettiva.

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