venerdì 7 ottobre 2011

La tragedia di Barletta offre qualche spunto di riflessione



di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it
venerdì 07 ottobre 2011

La tragedia di Barletta ha colpito il cuore di tante persone per vari motivi: l'assurdità di quelle morti, le polemiche sulla prevedibilità o meno del crollo della palazzina, il fatto che le vittime fossero donne che lavorassero in nero e sottopagate. Sul caso specifico di quanto è avvenuto nella cittadina pugliese la giustizia farà il suo corso. La Procura di Trani ha aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo.

Restano due fatti: la morte di quelle povere persone per il crollo della palazzina e la loro condizione lavorativa. In quest'ambito, ci occuperemo della seconda questione per fare alcune considerazioni di carattere generale.

La prima sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Le donne morte sotto le macerie lavoravano in nero. La magistratura farà luce, oltre che sui motivi che hanno causato il crollo della palazzina, sulle condizioni del luogo in cui queste persone operavano. La materia è molto complessa. Come insegna un'altra tragedia, quella degli operai morti nelle acciaierie ThyssenKrupp di Torino, la sicurezza del luogo del lavoro è inquadrata in un complesso quadro di disposizioni (c'è una direttiva-quadro europea modificata nel tempo e la normativa italiana), non dipende dal fatto che l'attività d'impresa sia ubicata al nord o al sud del paese, che l'azienda sia grande o piccola e che sia italiana o straniera.

La seconda riflessione riguarda la recente modifica della normativa in materia di sicurezza e sull'attività di vigilanza e controllo sui luoghi di lavoro. Spesso si fa lo sbaglio di confondere e intrecciare questa delicata questione con la burocrazia fine a se stessa. Due anni fa il Governo è intervenuto sul tema con il decreto legislativo 5 agosto 2009, n. 106, che ha integrato e corretto il testo unico (decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81). Questa norma ha introdotto un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi in settori a particolare rischio infortunistico e ha puntato sul superamento di un approccio meramente formalistico e burocratico al tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, prestando maggiore attenzione ai profili sostanziali e agli obiettivi da raggiungere. In sostanza quello che conta è la tutela reale del lavoratore e non la burocratizzazione del sistema, che nulla aggiunge in termini di sicurezza e molto toglie alle dinamiche economiche delle attività produttive. Nello stesso momento, inoltre, il Ministero del Lavoro ha disposto nel tempo una serie d'iniziative per stanare il lavoro nero come, tra le altre cose, l'aumento delle attività ispettive con tanto di valutazione delle attività svolte fino ad ora e pianificazione per il futuro, il piano straordinario di vigilanza per le regioni del Sud nei settori a maggiore rischio di morti e infortuni come l'agricoltura e l'edilizia, le convenzioni per la cooperazione tra le Direzioni provinciali del Lavoro, la Guardia di Finanza e l'Arma dei Carabinieri.
Il caso di Barletta, come anche diverse altre tragedie che l'hanno preceduta, sono la dimostrazione evidente che ci sono situazioni che purtroppo sfuggono alle norme e ai controlli e che appesantire inutilmente la normativa della sicurezza sul lavoro non salva alcuna vita. Servono, invece, sempre più controlli (razionali) da parte delle istituzioni, più occhi vigili da parte di tutti gli operatori coinvolti nel sistema economico-sociale, norme chiare e severe per la tutela della salute dei lavoratori, pene certe.

La terza considerazione riguarda la condizione delle donne nel mercato del lavoro. Le differenze di genere sono un dato storico che trascende i confini nazionali. Gli studi sul tema si sprecano. Basterebbe citarne uno a caso per quantificare il problema in numeri e in tutta la sua gravità. Per esempio l'International Migration Outlook 2008 segnalò che, in tutto il mondo, la differenza salariale tra lavoratori immigrati e autoctoni (in media tra il 15% ed il 20% in meno a sfavore degli immigrati) è più piccola di quella tra uomo e donna. Il problema ha radici profonde. John Stuart Mill sosteneva che la differenza fra uomo e donna era visibile solo perché le donne non avevano le stesse possibilità degli uomini, ma, una volta eliminate le disparità, e una volta aperte le porte dell'istruzione e della carriera alle donne, esse sarebbero diventate in tutto simili agli uomini (The subjection of women, 1869). Dopo quasi un secolo e mezzo siamo qui a parlare di donne che lavoravano in nero e che guadagnavano 4 euro all'ora. Ovviamente ci sono anche tanti uomini che svolgono attività in nero e con paghe da fame. Il problema per le donne, tuttavia, è che spesso sono pagate meno anche quando sono in regola.

La quarta considerazione riguarda la concorrenza nel mercato globale. Il problema del lavoro irregolare e dei bassi salari va inquadrato anche, e soprattutto, in alcune dinamiche negative prodotte dalle attuali regole del mercato mondiale. Il caso di Barletta è quasi un classico esempio di come in certi tipi di produzione le attività italiane, ma si potrebbe dire occidentali, non sono più competitive perché ci sono realtà nel mondo dove le condizioni socio-economiche, che spesso trascendono in un vero e proprio sfruttamento, permettono di produrre con costi minori rispetto ai nostri. Se si vuole competere a quel livello e in quel tipo di produzione, quindi, non resta che ricreare in parte o in tutto quelle condizioni che permettono alla merce di essere concorrenziale in quel segmento di mercato. Si tratta di un ragionamento che, preso così, è totalmente inaccettabile per tanti motivi (c'è l'alternativa della riconversione della produzione, l'innalzamento della qualità, lo spostamento in un altro segmento di mercato, ecc.). Resta che questa spirale negativa è chiara e porta a produrre due tipi di pensiero: da un lato chi afferma che questo tipo di attività, pur se irregolare e sottopagata, permette di vivere o almeno sopravvivere e chi non accetta che comunque in Italia si crei quel tipo di condizione lavorativa. Il tema è incandescente e l'unica cosa certa è che non possiamo risolverlo da soli e, quasi certamente, neanche in compagnia dei soli partners comunitari.

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