lunedì 10 dicembre 2012

Un anno di Governo Monti

di Antonio Maglietta
maglietta@ragionpolitica.it

lunedì 10 dicembre 2012


Molti commentatori italiani e stranieri si sono meravigliati dell’evoluzione repentina del quadro politico nazionale e hanno spesso parlato di strategie irresponsabili e di paura dei mercati dinanzi alla scelta operata dai gruppi parlamentari di Camera e Senato del PdL la scorsa settimana. Cerchiamo di capire perché non c’è niente d’irresponsabile e che c’è stato un legittimo atto politico dettato sia da un quadro economico con un trend da tempo marcatamente negativo e sia da una serie di scelte politiche del governo operate in funzione della golden share esercitata dal Partito democratico.

Mario Monti è stato fino ad ora un grande servitore dello Stato ma è fin troppo evidente che il governo in carica non ha lanciato alcuna strategia di sviluppo e di crescita. Se confrontiamo, infatti, gli ultimi dati economici dell’Istat lasciati in eredità dal governo Berlusconi con gli ultimi disponibili, dopo poco più di un anno di governo Monti, dobbiamo registrare una riduzione del Pil (-2,4%), un aumento sia del tasso di disoccupazione generale (+2,3%) che del tasso di disoccupazione giovanile (+5,8%), una contrazione della produzione industriale (-4,8%) e dei consumi (-3,2%), una situazione economica delle famiglie italiane peggiore rispetto a prima (- 0,5% propensione al risparmio; - 1,5% reddito disponibile; - 4,1% potere di acquisto) e un crollo della fiducia di consumatori (-10% circa) e imprese (-10% circa) nel quadro evolutivo congiunturale.

A tutto questi numeri negativi bisogna aggiungere, tra le altre cose, il pasticcio della riforma Fornero, che ha creato il problema degli esodati, il caos concernente il tentativo maldestro e malriuscito di accorpamento delle province (quasi un vorrei ma non posso) e la voglia di svuotare ulteriormente le tasche degli italiani con la reintroduzione di una tassa sulla casa.E poi è stato fin troppo evidente che certi provvedimenti governativi di politica estera (la posizione sul voto all’Onu sulla Palestina presa in controtendenza rispetto alla tradizionale linea italiana e senza neanche passare per una discussione in Parlamento) e di politica interna (la riforma Fornero modificata sotto il ricatto del Pd e della Cgil e l’introduzione dell’Imu in palese anti-tesi con l’idea che fu alla base della eliminazione della tassa sulla casa durante il governo Berlusconi) sono stati la conseguenza della pressione esercitata dal Partito Democratico e della volontà di questa forza politica di mettere nell’angolo il PdL che ha sempre votato con grande senso di responsabilità e sacrificio istituzionale tutti i provvedimenti presi dal governo nell’ultimo anno anche in pieno contrasto con gli umori della propria base. Una forza politica come il Pdl che ha gruppi parlamentari che sono l’espressione del voto dato dai cittadini alle elezioni politiche, che piaccia o meno, non può farsi schiacciare e subire passivamente le prove muscolari di una forza avversa senza reagire. E sempre a chi parla di scelte irresponsabili, andrebbe chiesto cosa cambierebbe nell’andare al voto con solo due settimane di anticipo giacché la data su cui sembrava esserci un accordo in precedenza era il 10 marzo mentre quella più probabile al momento, con quest’ultima evoluzione del quadro politico, sembrerebbe essere il 24 febbraio.

A chi invece parla a sproposito di abbassamento dello spread come opera del governo in carica andrebbe anche fatto rilevare che questo dato è stato strettamente legato all’operazione anti-speculativa portata avanti dalla Bce di Mario Draghi e al massiccio acquisto di titoli pubblici italiani da parte di molte nostre banche. E poi diciamolo chiaramente: non si può in alcun modo accettare la dittatura dello spread e i ricatti possiamo chiamarli in tanti modi ma sempre ricatti sono; chi ne va di mezzo sono solo i cittadini, che in questo quadro non sarebbero più liberi di scegliere con il proprio voto il futuro di questo paese. Se, infatti, è Mr. Spread a decidere chi deve governare e chi no a cosa servono le elezioni?

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